Lettere

Nuovo racconto per il #writober2018.

Buona lettura.

Ladyhawke83

Renard, quel pomeriggio, aveva deciso di prenderselo per sé.

Si era messo comodo sulla sua vecchia ottomana in vellutino viola scuro, dall’aspetto più che vissuto, viste le condizioni dei braccioli, gentilmente decorati dalle unghie di Maurice. Quel divano era il suo posto preferito per i sonnellini e assolveva alla funzione di perfetto tiragraffi. Il padrone di casa, nonché del paffuto micione non ci dava peso. “È solo un divano…” diceva a chiunque facesse osservazione.

In realtà l’unica a cui dava realmente fastidio che fosse rovinato dal gatto, era sua madre, ma Renard aveva imparato ad ignorare le sue filippiche rispondendo sempre con un condiscendente “sì”, ripetuto molte volte, finché non fosse riuscito a sembrare convincente. Per fortuna lei non passava spesso a trovarlo, ma quel giorno era uno di quelli in cui la sua presenza si era fatta sentire più di altri.

Con la mente ripensò alle ore appena trascorse e sospirò. Sua madre sapeva essere tanto amorevole, quanto devastante.

“Non puoi continuare a vivere così!” Lo aveva ripreso la madre quella stessa mattina, mentre entrambi erano seduti al tavolo da pranzo.

“E cosa dovrei cambiare, sentiamo…” rispose stancamente Renard, sapendo esattamente dov’è quella donna minuta, alta neanche un metro e sessanta, ma con uno sguardo da rapace, stava andando a parare.

“Innanzitutto questo appartamento è sporco e sciatto, non va bene per te… poi c’è quel gatto… il suo pelo non fa bene alla tua asma…” continuò la madre osservando con disprezzo il felino, placidamente adagiato sul davanzale della finestra in cucina.

“Dovresti trovarti una donna… ti serve qualcuno qui, hai una certa età, non puoi continuare ad inseguire stupidi sogni ad occhi aperti…come hai fatto con -quella-” Emmelie non aveva mezzi termini, quando doveva dire una cosa, la diceva e basta e aveva sempre l’effetto di uno schiacciasassi sull’umore si suo figlio, il bello è che lei sapeva di ferire il figlio, ma fingeva di farlo in assoluta buonafede.

“Punto primo non ho bisogno di una badante, non sono mica inabile. Punto secondo: ho l’asma non l’allergia, quindi Maurice resta. Punto terzo: la vita che faccio, e con chi la faccio, è affare mio non tuo, mamma…” Rispose deciso Renard alzandosi dal tavolo con impeto.

“Oh va bene. Come vuoi. Io lo dicevo per te, sono pur sempre tua madre no? È normale che mi preoccupi” Glissò con assoluta maestria Emmelie, dando prova di un gran sangue freddo e parlando con un tono fintamente innocente, come se fosse lei ad essere stata assalita dal figlio e non il contrario.

“Certo mamma, lo so, ma io ho trentadue anni. Avrò pure il diritto di vivere e di sbagliare per conto mio?” Rispose Renard molto più calmo, mentre versava il caffè in due grandi tazze di ceramica blu, una per sua madre e una per sé.

“Come vuoi Renard, come vuoi…” La madre fece un cenno noncurante con la mano, puntando nuovamente i piccoli occhi azzurri sull’indifferente Maurice, che faceva ciondolare mollemente la coda avanti e indietro.

Renard tirò il fiato, se ne era andata già da due ore, eppure le ultime parole di sua madre riecheggiavano ancora nell’aria, come un giudizio velato, un monito.

Prese da una vecchia scatola rossa un plico di lettere legate con lo spago. Le buste e la carta erano tutte ingiallite, ma la calligrafia fine e morbida, no, era nera, lucida, chiara e inconfondibile.

Iniziavano tutte così:

Cher Renard…

E finivano con la sua firma, o meglio con le sue iniziali:

C.B. Chantal. Bouclé.

 Renard ne rilesse una, dei primi anni 2000, poi se la mise in grembo sospirando a mezza voce.

“Non avrei dovuto lasciarti andare…”

 

{607 parole}

{9 ottobre. Prompt: Lettere}

 

Samanta Crespi

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