Van Gogh – Sulla soglia dell’eternità: recensione

Artista con una carriera da pittore alle spalle, Julian Schnabel ha poi dirottato la sua creatività su tela per dedicarsi a ben altra arte, cioè il cinema, cominciando negli anni ’90 a dirigere qualche pellicola che potesse esprimere di più la sua ispirazione; ha esordito nel ’96 realizzando il biopic Basquiat, storia del noto writer newyorchese interpretata da un cast di prim’ordine (Geoffrey Wright, Dennis Hopper, David Bowie, Benicio Del Toro, Gary Oldman, Christopher Walken), una scelta che per un nome come Schnabel non sarebbe potuta essere da meno.

In seguito il nostro regista ha proseguito una propria carriera parlando esclusivamente di persone realmente esistite, grazie a titoli come Prima che sia notte (storia del poeta Reinaldo Arenas interpretata da Javier Bardem), Lo scafandro e la farfalla (gli ultimi giorni di vita dell’editore francese Jean-Dominque Bauby, ruolo ricoperto da Mathieu Amalric) e Miral (vera vicissitudine della giovane palestinese del titolo con Freida Pinto per protagonista); ora, senza tradire questa sua personale tradizione, il buon Schnabel torna sui suoi passi di amante della pittura e decide di dedicare il suo nuovo lungometraggio al mitico Vincent Van Gogh, artista dall’esistenza travagliata e che ora rivive in questa pellicola sotto le fattezze del poliedrico Willem Defoe (era anche in Basquiat e Miral), il quale, nonostante sia più vecchio del noto personaggio, riesce a ricreare quelle tensioni emotive che questo biopic intende descrivere.

Quindi Van Gogh – Sulla soglia dell’eternità si prende la responsabilità di raccontare gli ultimi anni di esistenza del nostro pittore, tra i dilemmi privati e professionali, sempre in cerca di una conferma ben chiara sulle opere che lui realizza, mai abbastanza amate e apprezzate, le quali forse (e probabilmente) sono patrimonio di un’epoca a venire che Vincent stesso sarà costretto a non vivere.

Perché nessuno delle persone che lui frequenta, che sia l’amato fratello Theo (Rupert Friend) o l’irruento collega Gaugin (Oscar Isaac), riescono a dare un vero peso a quello che lui realizza, facendo cadere Van Gogh in un dilemma pieno di interrogativi e di personaggi dalla fugace apparizione, come il dottor Paul Gauchet (Amalric), Madame Ginoux (Emmanuelle Seigner) e un severo sacerdote (Mads Mikkelsen).

Personaggio già ispiratore di parecchie visioni cinematografiche negli anni addietro, che sia Brama di vivere di Vincente Minelli (con Kirk Douglas protagonista) o il recente originale film animato Loving Vincent di Dorota Kobiela e Hugh Welchman, Van Gogh ora trova come supporter per un racconto sulla sua travagliata esistenza un collega come Schnabel, che, cimentandosi di nuovo sul racconto di vita di un vero pittore, dedica la sua intera operazione su un punto di vista prettamente soggettivo, che sia quello del regista o del protagonista stesso.

Utilizzando un Dafoe funzionale, nonostante l’età avanzata, Van Gogh – Sulla soglia dell’eternità colpisce per come sviluppa un argomento sentito come il valore di un autore a tutto tondo, entrando quindi nella offuscata mente del suo personaggio simbolo e analizzandone la follia interiore che lo ha portato al peggio (si è mozzato da solo un orecchio; la morte causata da un colpo di pistola all’addome, presumibilmente sparato da due ragazzi).

A Schnabel sta a cuore descrivere l’ambiente che circonda la vita e, soprattutto, l’arte di Vincent, tralasciando il suo protagonista Dafoe a mero testimone che attraversa luoghi e momenti particolari del grande pittore, dandogli modo di dare una grande prova d’attore come si deve (Coppa Volpi a Venezia 2018 per lui, come anche una nomination ai Golden Globes per miglior interpretazione drammatica).

Forse non è da ritenersi un film completo Van Gogh – Sulla soglia dell’eternità, ma sicuramente era così che il regista Schnabel voleva, consapevole del mito con cui si sta confrontando e dando al noto artista il degno elogio che merita, grazie alle sue opere perennemente tramandabili di epoca in epoca.

Mirko Lomuscio