Vice – L’uomo nell’ombra: recensione

A volte, in politica, ci sono figure che sembrano valere meno di altri personaggi di spicco, ricoprendo cariche meno celebri, e che invece hanno saputo prendere decisioni ben più decisive di chi comandava; uno di questi è stato Dick Cheney, ex Vice Presidente che ricoprì questa carica nel periodo di George W. Bush, un uomo dalle innumerevoli doti di ammaliatore e con una reputazione che per molti, ma non per tutti, parla da sé, tra decisioni militari e finanziarie alla portata di mano.

Insomma, una figura intrigante e fondamentale, da non sottovalutare e che il cinema ovviamente non poteva ignorare; ad occuparsi di un biography sul suo conto ci ha pensato allora il regista Adam McKay, nome legato innanzitutto alla commedia grazie a titoli come il dittico Anchorman e Fratellastri a 40 anni, recentemente votato ad un cinema più impegnativo, sociale precisamente, avendo portato sui grandi schermi quel La grande scommessa che gli permise di portare a casa un Oscar per la miglior sceneggiatura non originale. Con Vice – L’uomo nell’ombra intende superarsi, raccontando la vita di questa figura politica dalle molteplici sfaccettature e usufruendo di un cast da grandi occasioni, mutato per l’occasione da un make up che dovrebbe renderli simili ai nomi reali da loro interpretati.

Nei panni del glaciale Cheney troviamo in primis un Christian Bale con qualche chilo di troppo, totalmente trasformato e mutato nel noto ex presidente, portando quindi in scena un ennesimo personaggio della sua galleria camaleontica, una performance sicuramente da ricordare; accanto a lui degli altrettanto camuffati Amy Adams (è la moglie Lynn Cheney), Steve Carell (è il collega Donald Rumsfeld) e Sam Rockwell (è George W. Bush), un pugno di grandi attori alle prese con un pezzo di storia americana narrata solo come McKay riesce a fare.

Si parte dalla fine degli anni ’60, quando Cheney è un giovane in cerca di una sua dimensione professionale, alla ricerca di un’occupazione che lo possa completare come uomo, cosa che la moglie Lynn (Adams) desidera più di ogni cosa.

Fatale sarà l’incontro con Rumesfeld (Carell), il quale lo inserirà nello staff della presidenza Nixon verso la fine del decennio, facendogli così intraprendere una carriera che lo accompagnerà per decenni, salendo sempre di grado, fino a divenire il Vice Presidente degli Stati Uniti, al fianco di George W. Bush (Rockwell).

Da questa posizione Dick avrà modo di tirare le fila come vuole, andando addirittura incontro alla tragedia dell’11 settembre 2001 con un piano preciso, ma molto, molto, improvvisato.

Una volta, quando si doveva realizzare un biography su una certa figura politica di spicco, ad occuparsene era un nome adiacente all’argomento tipo Oliver Stone, il cui occhio da fotoreporter (ruolo che ricoprì nella guerra del Vietnam) ha saputo darci determinati lungometraggi su uomini di potere come Nixon (Gli intrighi del potere) e lo stesso Bush jr. (W.); oggi è uno come McKay a voler dire la sua a riguardo, un uomo che viene dalle commedie demenziali interpretate da Will Ferrell (l’attore è anche produttore di questo Vice – L’uomo nell’ombra) e che getta nella struttura di questa sua ambiziosa biogarfia dei semi di pura ironia, un sarcasmo che fa sempre bene nel raccontare le pagine tragiche che si celano dietro ai drammi politici di sempre.

Questa su Cheney è una storia ricca di parentesi amare e simboliche, frazioni di vita che descrivono quest’uomo mai abbastanza definibile come un vero e proprio squalo pronto a tutto, personaggio cardine di tanti tragici eventi accaduti nella storia (non solo americana) degli ultimi decenni, guerra in Iraq in primis.

Sul piano formale il film ha da presentare questa linea narrativa, sorretta da una scrittura a tratti perfetta (a cura di McKay stesso) e da un nutrito gruppo di attori in stato di grazia (Bale superlativo, come anche una glaciale Adams quasi irriconoscibile e il potente duo Carell/Rockwell).

Dove pecca Vice – L’uomo nell’ombra è nel presentare a livello ritmico qualche momento di stanca (tutta la vicenda post 11 settembre), come anche nel divenire a visione conclusa quel titolo spudoratamente anti repubblicano, con tanto di gratuito colpo di coda contro Trump verso i titoli di coda.

Non un male in sé, sia mai, ognuno è libero di dire quello che vuole, ma fatto così in modo gratuito in mezzo ad un film perfetto sotto molti punti di vista si finisce di banalizzare le sorti di tale pellicola; una cosa che impedisce a Vice – L’uomo nell’ombra di essere un capolavoro, ma soltanto una buona visione tutta da godere.

Mirko Lomuscio