Un voto così intrepido e mortale: recensione

Eccoci arrivati alla recensione dell’ultimo romanzo della saga Cursebreakers di Brigid Kemmerer: Un voto così intrepido e mortale.

Emberfall è sull’orlo del baratro. Mentre l’ombra della guerra si allunga sul regno, è sempre più aspro lo scontro tra chi considera Rhen il legittimo erede e chi vorrebbe che fosse Grey a salire al trono. Grey ha offerto una tregua di sessanta giorni prima di attaccare, e Rhen, tormentato dai suoi segreti, si sta isolando da tutti, compresa Harper, che è alla disperata ricerca di una soluzione pacifica. Nel frattempo Lia Mara, da poco incoronata regina di Syhl Shallow, fa di tutto per governare con giustizia e non seguire le orme spietate della madre. Ma il suo rapporto con Grey, che i più guardano con paura perché dotato di magia, la rende invisa ai suoi stessi sudditi e fa di lei il bersaglio di fazioni ostili.

Questo romanzo conclusivo devo dire che rimane per certi versi sorprendente e per altri un po’ sottotono rispetto ai due precedenti.

Ovviamente ritroviamo tutti i personaggi che abbiamo imparato ad amare e ad odiare è una trama molto più articolata rispetto al progetto iniziale che vedeva il primo volume come un rifacimento ed un richiamo alla favola de La Bella e la Bestia.

In questo fantasy c’è molto di più, certo ci sono i classici temi degli young adult: il conflitto, l’amicizia, l’amore, le scelte, ma c’è anche di più. E quel di più è proprio il modo in cui ci vengono presentate le scelte dei personaggi, che essendo contrapposti dovrebbero apparire scontate, invece non lo sono fino all’ultimo.

La scelta non è mai facile, né scontata e soprattutto pesa sulle spalle dei personaggi il fardello del destino che si sentono costretti a compiere comunque, nonostante il cuore magari non voglia.

Appaiono molto umani, molto vulnerabili in questo. Non c’è propriamente qui un bianco e un nero, ma molte sfumature che rendono i personaggi di spessore, intensi, umani.

Grey, Lia Mara, Tycho e Iisak personaggi comprimari o secondari prendono davvero la scena, diventando quasi ben più luminosi e interessanti della coppia protagonista con Harper e Rhen, che già conoscevano.

Grey emerge, per esempio, per il suo continuo oscillare tra la fedeltà a Rhen, e l’accettazione talvolta dolorosa del suo diritto di nascita e del suo dono. Non è più una guardia reale, ma non è neanche un principe o un artimago per diritto di nascita, ma tutto lo investe come una novità che fatica spesso a gestire, seppur accetta di mettersi alla prova più per senso del dovere che per fiducia in sé stesso.

Lia Mara, che nel secondo romanzo non aveva brillato, qui sembra trovare una certa dimensione, seppur sempre contrapposta alla crudele sorella, che sostiene sempre la ferocia al posto della gentilezza. Ma Lia Mara vuole essere diversa vuole essere amata dal popolo per la propria compassione ed equità. Rifugge la violenza.

Tycho è un ragazzo giovane, volenteroso, la perfetta spalla e supporto per tutti, ma in particolare per Grey.

Harper, invece si trova a dover affrontare l’interrogativo più difficile, seguire il suo cuore e appoggiare le decisioni (anche discutibili del principe Rhen), oppure seguire la ragione è schierarsi dalla parte del “nemico” Grey, con cui comunque ha un forte legame, che sembra sempre suggerire qualcosa di più dell’amicizia tra i due.

In questo ultimo romanzo il suo personaggio viene un po’ messo sullo sfondo e secondo me anche un po’ banalizzato. Harper appare più debole qui, che non nel primo romanzo dove aveva tutte le ragioni per piangersi addosso ed aver paura, mentre qui che dovrebbe decidere, esita, si fa questioni inesistenti, mette il broncio. Insomma non mi ha convinto. E anche la condizione di paralisi cerebrale infantile rimane sempre sullo sfondo e, come ho già detto, poteva essere trattata molto meglio, mentre così finisce per essere solo un pretesto per parlare d’altro. Non che ci sia qualcosa di male, ma non ha senso, per me, mettere un personaggio con questa caratteristica particolare, se poi comunque la di vita e basta senza approfondirla, anzi banalizzando la disabilità.

Il finale poi, è la parte più fragile, non mi ha convinto, un po’ confusionario e frettoloso. Poteva essere fatto meglio, ma nel complesso tutta la saga è interessante e merita, per via delle tematiche che affronta, ma anche come le affronta. Il modo in cui tratteggia la difficoltà delle relazioni, i sentimenti che non sono mai granitici o facile, le scelte per il bene comune (del regno) o personale (proprio o della famiglia).

Il cattivo, o per meglio dire “la cattiva”, la strega Lilith, resta tale per tutta la saga e anzi assume via via sempre spessore, senza diventare una caricatura. Non si redime, mai. Ma non per questo è meno interessante.

Ho scoperto questa saga grazie al suggerimento di un’amica che mi ha parlato di un personaggio con paralisi cerebrale infantile e per questo l’ho iniziata, perché so quanto sia rato trovare la disabilità trattata nei romanzi fantasy, ma la consiglierei non solo per questo, ma anche per tutti i motivi che ho elencato. In primis: i personaggi e il loro background, nonché l’idea di legare in un qualche modo due mondi diversi, il nostro mondo contemporaneo e un mondo fantasy medievale dove le cose sembrano oggettivamente più complicate, ma spesso così non è, almeno nei rapporto umani.

 
Samanta Crespi
 
© Riproduzione Riservata