Tra le stelle e il cuore: intervista esclusiva a Silvia Casini

Chi è Alma? Ha diciassette anni e vive a Canale Monterano dove trascorre le giornate a cercare erbe sacre nella “città morta”, il cuore fantasma del vecchio borgo, proprio come faceva sua madre, sapiente erborista. Arrivata a La Leggendaria, antica residenza di famiglia, dopo la perdita di entrambi i genitori, le si conficcano addosso l’odore dei fiori e degli infusi dai nomi fatati, ma spesso la sua mente vacilla e allora viene trascinata in un incubo fatto di vicoli bui e soffitte anguste. Quando succede, si ritrova a fare i conti con un uomo dal volto mascherato e con una ragazzina esperta di veleni. Sono personaggi inventati o la verità è nascosta dentro di sé, sommersa da un diluvio di dolore? Sarà Canale Monterano, dominato da un sole maestoso e fiero, a fare da cornice alla sua memoria senza tempo, ai venti che girano instancabili e che spandono nell’aria profumi dai nomi impronunciabili. Grazie a Leonardo Mancini, amico di vecchia data, verrà a galla un mondo nuovo, fatto di crudeltà subite dagli invisibili. Perché Alma non è chi dice di essere. Alma non ha diciassette anni.

Ecco l’intervista alla scrittrice Silvia Casini che ci parlerà del libro edto da Bibi Book.

Come è nata l’idea di questo libro?

Per scrivere Tra le stelle e il cuore ho mescolato fantasia e realtà. Ho rivangato nel passato di mia nonna o meglio del suo fratellastro, che ha avuto un destino sciagurato. In quanto disabile e figlio della seconda guerra mondiale finì in manicomio. D’altronde, in epoca fascista, spesso, le donne ribelli che non volevano sottostare a regole che trovavano assurde venivano rinchiuse in manicomi dove avrebbero passato il resto della loro vita. Stesso discorso valeva per i disabili. Dentro queste strutture infatti non c’erano solo i malati mentali, ma anche persone sanissime come per esempio i bambini orfani. I folli, gli agitati cominciarono a essere coloro che erano un pericolo per la società e si pensò di rinchiuderli in queste strutture.

 

A permettere l’apertura dei manicomi in Italia fu la legge 36 del 14 febbraio 1904. Il ricovero avveniva solamente se c’era un certificato che attestava uno stato di pericolosità o per il paziente stesso o per chi gli viveva accanto. I metodi che venivano usati per combattere la pazzia erano atroci, un esempio è l’elettroshock, un’invenzione che non curava realmente la pazzia ma aveva come conseguenza effetti devastanti. Dopo l’approvazione della Legge Basaglia (1980) i manicomi vennero chiusi.

Rimasi anche sconvolta da un reale fatto di cronaca. Sto parlando del progetto Willard suitcases del fotografo Jon Crispin, che ha deciso di rivelare e di fotografare il contenuto delle valigie trovate all’interno di un vecchio manicomio abbandonato, lo Willard Psychiatric Center in America, costruito nel 1869 e chiuso nel 1995. Nella soffitta dell’edificio, infatti, vennero ritrovate ben quattrocento valigie. Quasi tutti i pazienti passavano tutta la loro vita all’interno dell’ospedale e il contenuto di quel bagaglio era il solo ricordo di ciò che avevano e che erano prima di essere internati. Queste testimonianze toccanti si possono vedere sul sito www.willardsuitcases.com. Abbiatene cura, perché sbirciare nelle vite altrui, significa restituire dignità a tutti quegli invisibili dimenticati dalla società.

Perché lo hai ambientato a Canale Monterano? I personaggi li costruisci tu, o sono loro a rivelarsi a te?

Cercavo un luogo di puro abbandono, ma vivo. Quando mi ritrovai nel borgo fantasma di Canale Monterano capii che avevo trovato il “mio” luogo. Lì, viventi e spiriti parlano ancora la stessa lingua, sotto un sole maestoso e un bosco fiero. Quindi, ho cercato di dipingerlo nel modo più fedele possibile.

Quali luoghi oscuri ci sono?

Tutti i luoghi descritti nel romanzo sono reali: il borgo fantasma di Canale Monterano, il cimitero dei Cronici di Pianosa, il manicomio clandestino dell’isola di Poveglia, Sansepolcro e Roma. In alcuni casi sono stati aggiunti elementi fantastici a fini puramente narrativi. Ad esempio, nel descrivere i vari ospedali psichiatrici, talvolta ho fatto appello a strutture reali, alcune italiane come Santa Maria della Pietà a Roma, altre straniere, così come quando ho tratteggiato i sepolcreti, per i quali ho preso in prestito determinati dettagli di Rikers Island e di Hart Island.

Il più oscuro di tutti è comunque Poveglia, un’isola che si trova a sud della costa di Venezia,  lungo il canal Orfano, in quel tratto della laguna fra la Serenissima e il porto di Malamocco. Ad oggi è un’isola disabitata, non aperta al turismo ma non sempre è stato così: storicamente questo piccolo lembo di terra ha vissuto giorni di gloria nell’Ottocento e nel 1379, per la sua posizione strategica, venne sfruttata come avamposto militare e tutti i civili  che la abitavano furono “cortesemente invitati” ad abbandonarla, per lasciar posto ai vari armamenti (ancora oggi, fra i ruderi, è riconoscibile l’ottagono). Da allora, l’isola di Poveglia è rimasta pressoché inabitata e ha assolto alle funzioni più scomode e impressionanti. Nel 1700, all’epoca della “morte nera” essa divenne un lazzaretto. La peste colpì duramente Venezia, al fine di evitare la diffusione della malattia il magistrato della sanità dispose che tutti i corpi sarebbero dovuti essere condotti sull’isola di Poveglia per essere bruciati e sepolti in fosse comuni. E alla fine, Poveglia divenne l’isola della quarantena, dove individui ancora coscienti, a volte non ancora contaminati, venivano condotti a morire lontano da Venezia. Uomini, donne e bambini morirono lentamente, consumati dalla malattia.

La testimonianza di questo strazio si trova nel terreno di Poveglia stessa, dove sotto placidi vigneti, vengono ancora oggi rinvenuti migliaia di corpi. Nel corso degli anni intorno all’isola e ai sui suoi morti nacquero tante leggende. Nel 1922 a Poveglia venne eretto uno strano edificio la cui funzione è ancora oggi dibattuta. Da alcuni archivi risulta che era una casa di riposo per anziani. Tuttavia i fatti e le testimonianze sembrano condurci a una versione differente e cioè che l’edificio fosse una clinica per malati di mente. Tale ipotesi è oggi la più accreditata, supportata in maniera schiacciante delle rovine del luogo che urlano la loro verità. “Reparto psichiatria” è ciò che troverete inciso sulle pareti all’ingresso.

Il manicomio venne poi smantellato nel 1946, ma gli anni in cui fu attivo furono i più ricchi di avvenimenti e avvistamenti inquietanti. Sembra infatti che i pazienti dell’ospedale fossero tormentati dalle anime dei morti di peste. Trattandosi di individui classificati come “malati di mente”, i loro racconti non vennero mai presi in seria considerazione e, anzi, funsero da pretesto per soddisfare la follia del direttore, che la leggenda ci descrive come un sadico lobotomizzatore. I mezzi adoperati nel manicomio erano atroci e primitivi. La leggenda si conclude con la sua morte: tormentato a sua volta dagli spiriti di Poveglia, come accaduto per i pazienti in cura, l’uomo impazzì e si suicidò gettandosi dal campanile dell’isola. Un’infermiera che aveva assistito all’accaduto raccontò che egli non morì con l’impatto col suolo, ma soffocato da una strana nebbiolina che si era propagata dal terreno fin dentro il suo corpo, lasciandolo esanime. Da allora essa è disabitata e i pochi visitatori che nel corso degli anni hanno deciso di esplorarla sono tornati indietro con testimonianze raggelanti di voci, lamenti e apparizioni di strane figure. Negli anni Sessanta una famiglia benestante l’acquistò e vi si stabilì, per poi sbarazzarsene dopo qualche mese dall’acquisto, terrorizzata anch’essa dagli spiriti dei malati di peste (anche ritrovarsi una fosse comune in mezzo al vigneto non deve essere stata un’esperienza piacevole). Recentemente i parapsicologi  della serie tv “ghost adventures” hanno girato un episodio sull’isola di Poveglia.

Chi è Alma?

È una spezzata, una sopravvissuta. A volte è serena, altre è smarrita e altre ancora sembra essere piena di paura e sgomento. Ha 17 anni, ha perso i suoi genitori a causa di un incidente, ma è veramente così che stanno le cose? Talvolta le pare di vedere un bambino saturo di orrore. E quando il bambino si trasforma in una bambina, la voce di Alma sembra quella di una creaturina indifesa in preda all’angoscia.

Da dove arriva questa sua inquietudine? Come fra le tende di un circo, ecco allora aggirarsi un funambulo, una chiromante, una donna che non si è mai sposata, una bambina che sogna favole e un padre abilissimo nel distruggerle. Ma esistono davvero tutte queste persone? Alma, la protagonista, non se lo chiede affatto, perché ognuno di noi a volte ha bisogno di guardare il futuro tornando alle radici e tenendosi stretti i ricordi in silenzio. Ci sono voci, lacrime, amore e nostalgia nel libro, ma anche brutalità, delitti, follia, noncuranza. C’è tutto quello che abita nel cuore umano, dove spesso affiorano odori, parole, pianti e sorrisi. In sostanza, c’è anima: la luce che riesce sempre a tenerci miracolosamente vivi. E mentre i giorni passano, Alma è sempre più disorientata, ma non vuole sottrarsi alla realtà.

 Chi è Leo?

Alma desidera scoprire di più sul suo passato. Così, quando scomparirà senza lasciare traccia, per Leo la sfida si farà grande. Vuole rintracciarla a tutti i costi, ma sarà pronto a entrare in luoghi tetri e spaventosi da cui non sarà affatto facile uscire? Chi è la sperduta e spaesata Alma? Cosa le è successo? Leo non può far altro che tentare di mettere insieme i pezzi di un puzzle enigmatico e raccapricciante, mentre precipiterà in un abisso di ferocia, follia e sofferenza. Eppure sa che, alla fine, riuscirà a sbrogliare la matassa, perché lui non molla mai, ma soprattutto perché i suoi sentimenti sono sinceri.

Leonardo Mancini è di fatto un giornalista, che deciderà di investigare sul suo passato per avere delle risposte certe ai suoi misteri. Ed è così che si calerà nel buio della sua mente, per tirarla fuori da un pozzo senza fondo. D’altronde, Alma è convinta che L’angelo nero, un temibile omicida, la stia cercando, ed è terrorizzata. Ma chi è costui? È frutto della sua fantasia o le sue parole nascondono una verità indicibile? E cosa ha a che fare il circo Rêverie con la sua personale vicenda umana? Tutto è intricato e contorto. Leo lo sa benissimo, ma non può esimersi dal scoprire cosa si nasconde dentro il tetro e tenero cuore di Alma.

Nel libro ci sono i profumi connessi alla memoria. Perché?

L’olezzo dei fiori è un elemento portante nel romanzo, perché esistono profumi in grado di arrivare dritti al cuore: alcuni sono quasi impercettibili e misteriosi, altri hanno la capacità di far riaffiorare ricordi sepolti nelle reminiscenze, altri ancora rivelano la vera natura delle persone. Ma ce ne sono anche altri capaci di presagire qualcosa di terribile. E nel percorso di Alma, saranno proprio i profumi a portarla indietro nel tempo e a farle comprendere tutti quei segreti che la sua razionalità non vuole ammettere. Segreti che potrebbero aprirle gli occhi sull’inscindibile legame tra amore, vita e morte.

Il messaggio che trasmette il libro?

Noi siamo la nostra memoria. Per andare avanti, non dobbiamo imbonire il passato, ma attingere da esso per avere coscienza di chi siamo stati e chi siamo diventati. Siamo in continua evoluzione, trasformazione. E sbirciare nelle vite altrui, significa restituire dignità a tutti quegli invisibili dimenticati dalla società.

È stato difficile scrivere di un argomento così complesso?

Ricerca. Montaggio.

Chi è senza identità può salvarsi?

Il nostro nome è importante (aggancio Miyazaki). Lo dico anche con una citazione

Perché il nome è più che una parola: invoca ed evoca la presenza.

Ermes Maria Ronchi

L’amore è l’unica risposta valida. Sempre. Azzera qualsiasi conflitto, restituisce emozioni sane, pulite, procura serenità, induce a essere migliori.

 

Debora Parisi

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