Sulla infinitezza in dvd: recensione

Mustang Entertainment porta in dvd Sulla infinitezza, una riflessione sulla vita umana in tutta la sua bellezza e crudeltà, splendore e banalità, dal pluripremiato regista di You the living.

Una sovrapposizione poetica di quadri che catturano momenti di vita. Alcuni dei personaggi ritratti sono Adolf Hitler, una direttrice marketing, una donna che ama lo champagne e un prete. La narrazione è guidata dalla voce calda di una donna, una sorta di Shahrazād (de Le mille e una notte) che racconta la storia dell’umanità e invita gli spettatori a riflettere sulla preziosità e la bellezza della nostra esistenza.

Come una compagine sbiadita. Una sequenza abbastanza scollegata, di diapositive che si succedono.
Una narrazione scarna, compassata, quasi una formula narrativa nel descrivere piccole immagini in alcuni casi, in scenografie asettiche. Uno sfoggio di una dinamicità ferma, per immagini quasi povere, quasi banali. Una voce di donna in un tono, anch’esso statico, accompagna questo incedere flebile, dall’inizio alla fine.

Il sussulto che incombe e rimane, è svelato all’inizio dalla primissima scena di luce; è un sussulto intenso e fragile, visionario e forte, poetico e leggermente indelebile. Poi tutto procede senza sbalzi, ma con pennellate, con tocchi di colore, emozioni dettate, soffiate, a seconda dell’ambientazione di turno.

Il film sembra egli stesso sfidare l’idea stessa di movimento. Si trascina e si innalza o ri-alza (volendo), continuamente, o meglio, continuamente.

Ma lo fa da fermo, magistralmente, apparentemente immobile. Anche il suono che accompagna il tema musicale di fondo sembra sia un lamento, una disperazione, un’ode soave o sgraziata… è una preghiera?
Già… perché in realtà non è un film. È una poesia? È una sequenza strampalata di situazioni per immagini? È la messa in scena di immagini che accompagnano la parola?

Forse, semplicemente l’animo umano cercato in chiave artistica. O meglio, non importa il mezzo artistico, è importante mostrare quello che c’è sotto. In qualche modo, sia attraverso la parola, che attraverso l’immagine…

Èuna filigrana delle nostre vulnerabili annebbiate quotidianità. Delle nostre energie sfibrate, ma che pur sempre sono, siamo, energie.

È una disordinata resistenza presente. Sembra possa essere una passeggiata, nelle vite di tutti, nei bisbigli nostri e degli altri, un affacciarsi assieme, dentro.

Perché guardiamo tante vite passare, e a volte lo strumento del cinema è di per sé il mezzo adatto a un immedesimarsi, di questo “spiare”.

Ma nel fil, quella regola svia e si sofferma, tace e inizia a parlare. Suggerisce la stranezza umana, la goffaggine, i volti bizzarri… le situazioni messe a fuoco, piano piano, consciamente o meno, fanno scorrere delle “scenette” e delle lente parole, fra cui lamenti, colori interiori, reazioni, pensieri, toni di voce. Così da meri spettatori si diviene protagonisti.

Le facce, meglio dire, le non facce oppure, proprio quelle facce, le tinteggiature, le inquadrature, la musicalità scelta, i suoni o i rumori lasciati in presa diretta e enfatizzati, i dettagli minuziosamente studiati a tavolino o inglobati e amalgamati alla rinfusa, perché tutto possa continuare a restare in una sua “armonia madre”… questi gli ingredienti vivi che fanno della firma di Roy Andersson uno stile, la sua palette o corredo, se volessimo badare all’estetica.

Eticamente parlando però, Sulla infinitezza non è film necessario, ma indispensabile.
È un occhio sulle cose, sulle cose attorno. Quelle cose siamo noi.

Siamo noi piccole fiammelle di candele che oscillano e cercano di rimanere accese seppur lievi, ma vibranti, sapendo la fine che ci aspetta.

Siamo noi, quei meccanismi o quasi, che si arrugginiscono o si incastrano, noi che sembriamo non funzionare più e fissarci e fermarci, in questo o quell’angolo, sembriamo cedere o prendere storte;
siamo noi che cerchiamo gli altri e negli altri e con gli altri, siamo gli altri che gli altri cercano.

Siamo noi che cerchiamo il respiro migliore in un balletto, in un sorriso, in un piccolo credo che sia un crederci ancora o comunque sia.

Nel vedere la pellicola, in buona sostanza, si avverte compassione per il genere umano, ma anche un sottotraccia salente di riconciliazione, di possibilità d’ascolto e di possibilità nell’ascolto, una partecipazione, un desiderio di accoglienza.

Nell’impiego dell’impegno naturale a vivere come energia in movimento, un magistrale, lento, movimento.

Alessandro Casini

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