Sandman: recensione

Cosa accadrebbe se gli dèi esistessero davvero? Sarebbero indifferenti ai bisogni degli umani o li aiuterebbero quando più necessitano? Si limiterebbero ad eseguire i loro ruoli o romperebbero dei tabù dettati dalla natura per proprio tornaconto?

Il futuro pluripremiato autore inglese Neil Gaiman (American Gods, Coraline, Stardust), si pose queste domande a metà degli anni ’80, epoca nella quale, nelle storie a fumetti, la faceva da padrone il suo mentore Alan Moore (Watchmen, The Killing Joke, Swamp Thing), nel bel mezzo delle sue sceneggiature per la Marvel e la DC, quando gli venne proposto di rilanciare un personaggio proprio di quest’ultima, l’Uomo dei Sogni, cercando di renderlo quanto più per adulti possibile.

Fu così che, nel 1989, con le copertine di Dave McKean, venne scritto il primo volume di Sandman, una delle serie a fumetti migliori mai scritte, e naturalmente non poteva non essere pubblicata dalla DC, alla quale era affiliato il già nominato Moore.

Il mondo è dominato dagli Eterni, personificazioni antropomorfe delle forze naturali, che regolano e governano l’esistenza universale. Essi sono Destino, Morte, Sogno, Distruzione, Disperazione, Desiderio e Delirio. Tutti loro hanno una personalità, un modo di fare unico nel loro genere, che li caratterizza e li contraddistingue, rendendoli più “umani”.

Il più enigmatico di tutti, oltre a protagonista della serie alla quale dà il nome, è Sogno, un essere oscuro sia esteriormente che interiormente, segnato da un passato travagliato fatto di amori terminati, dolorose sconfitte e amare delusioni. Ogni volume della serie racconta una tragedia, o una serie di tragedie, che lui subisce o alla quale cerca di rimediare. Come ogni tragedia, nessuna storia che coinvolge Morfeo finisce bene. C’è sempre un finale triste o dolceamaro che non ci si aspetta, che non ci fa sentire totalmente felici, ma nonostante ciò pienamente soddisfatti: se è in quel modo che la storia doveva finire, è perché Gaiman ha voluto così. Sandman non lavora su situazioni, come ormai succede alla maggior parte delle opere di finzione, ma su vere e proprie storie, nelle quali accade l’inaspettato, i dialoghi sono imprevedibili e perfettamente strutturati, in un adorabile stile inglese a volte serio a volte poetico.

Sin dalla prima pagina si capisce subito di non avere in mano un fumetto come gli altri: i disegni sono ad acquerello, anziché a penna o con tecnica tridimensionale. Ogni raffigurazione di ogni pagina sembra un quadro, un’immagine della nostra memoria proiettata su carta, quasi si stesse davvero guardando un sogno, dai contorni a volte squadrati, a volte ondulati, a volte persino inesistenti.

Le situazioni saranno tra le più disparate e sensazionali: Sogno che commissiona un’opera teatrale a William Shakespeare, o che sfida un adepto di Lucifero ad un duello verbale, o addirittura che accompagna sua sorella maggiore, Morte, in un suo giro di routine.

Sandman non è un semplice fantasy o una comune storia di supereroi, è una rivisitazione, un ribaltamento dei generi, talmente grande da aver vinto il premio per il miglior racconto breve al World Fantasy Awards del 1992, unico fumetto che può vantare tale onorificenza.

Inutile dire altro. Leggetelo e sognerete ad occhi aperti.

 

Andrea De Venuto

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