Red Zone – 22 miglia di fuoco: recensione

Ormai accoppiata assodata per un cinema spettacolare e commemorativo, l’attore Mark Wahlberg e il regista Peter Berg tornano di nuovo in “azione” con un thriller adrenalinico, ambientato nelle sfere della Intelligence americana, senza però trarre alcuno spunto da fatti avvenuti realmente o da storie vere; lo avevano fatto con Lone survivor (racconto del soldato sopravvissuto in Afganistan Marcus Luttrell), poi con Deepwater – Inferno di fuoco (la tragica vicenda del peggior disastro petrolifero della storia) ed infine con Boston – Caccia all’uomo (avvincente resoconto sulla cattura dei terroristi che fecero un attentato durante la maratona di Boston del 2013), ma stavolta i due intendono creare a modo loro un film che possa mettere alla prova le loro doti, per Wahlberg quelle recitative, per Berg quelle registiche, coinvolgendoli entrambi nel ruolo di produttori.

Il titolo scelto per l’occasione è Red Zone – 22 miglia di fuoco e vede il protagonista di The fighter ricoprire i panni dell’agente federale James Silva, un uomo dalle innate doti intellettive alla guida di un gruppo di agenti scelti e ben addestrati, messi sempre a dura prova dai pericoli del loro mestiere.

La loro prossima missione sarà quella di scortare uno sconosciuto in possesso di importanti notizie, tale Li Noor (Iko Uwais), trasportandolo tra le strade di una città straniera in mezzo a miriadi di pericoli e personaggi armati fino ai denti, la cui missione è quella di impedire a Silva e i suoi, tra cui c’è l’agente Alice Kerr (Lauren Cohan), di raggiungere l’obiettivo stabilito.

Sparatorie all’ultimo sangue accompagneranno i nostri agenti durante questo tragitto, che non risparmierà neanche alcuna sorpresa.

Il cinema di Berg ormai è specializzato nel dover trasportare lo spettatore più comune in mezzo ad ambienti a lui poco consoni, che siano le avventurose terre afgane o le esplosioni di una piattaforma petrolifera in deflagrazione; con Red Zone – 22 miglia di fuoco il suo compito sembra quello di accompagnare la visione nei meandri del comune vivere della Intelligence, strutturando la trama di questa pellicola in due parti ben evidenti.

Nella prima fase entriamo nelle ambizioni professionali ed esistenziali dei suoi protagonisti, tra cui spicca un Wahlberg volutamente arrogante e dai metodi bruschi non sempre funzionale, mentre nella seconda si penetra nell’azione vera, con il modo più consono che Berg ha nell’utilizzare la macchina da presa tra sparatorie e lotte all’arma bianca.

Montaggio serrato e ritmi adrenalinici quindi, gettando così tutti i suoi attori nel mezzo (vi è anche la partecipazione della campionessa di arti marziali Ronda Rousey e di un John Malkovich preso a prezzo scontato) e sfruttandoli in frangenti già visti e stracitati per l’occasione (ad esempio Uwais viene inserito in una evidente lotta omaggio al film che l’ha lanciato, ovvero The raid – Redenzione di Gareth Evans), il tutto però senza regalare un solo momento di originalità e voglia di distaccarsi dalle solite opere action del cinema americano, ed il che porta solo noia ad un certo punto.

Salvo però cambiare direttamente rotta verso il colpo di coda finale, che rende Red Zone – 22 miglia di fuoco qualcosa di diverso sotto un certo sguardo ideologico, ma non abbastanza ragionato per allontanarsi totalmente dagli altri action movie a stelle e strisce.

Ci si può anche intrattenere con questo lungometraggio, ma dell’accoppiata Wahlberg/Berg è preferibile recuperare ben altro (Boston – Caccia all’uomo è il loro top).

Mirko Lomuscio