Quanto mi servivi: recensione

Questa è una battaglia contro il drago, ormai lo sapete. Sono passati più di cinque anni da quando questa avventura è stata portata per la prima volta sui social da Francesco, il papà di Tommi.

Altri due anni dal primo libro che l’ha raccontata, #cucitialcuore.

La famiglia Cannadoro ha continuato a combattere le proprie battaglie per la vita del loro piccolo e per la dignità di tutti i disabili, allargando sempre di più il proprio pubblico e diventando un punto di riferimento per l’universo della disabilità. Nuove sfide e nuove domande alle quali dare una risposta tratta dal quotidiano, intrisa di voglia di vivere e di amore. Più qualche battuta scema.

Ogni storia ha il suo sequel, ma soprattutto ogni storia ha un’altra storia che la precede, e questa non fa eccezione. Prima di conoscere sua moglie, avere Tommi e scoprire quanto sia bello e formativo fare davvero parte di una famiglia, Francesco è vissuto nell’incertezza e nella carenza di affetto, annegando nelle bugie di chi lo circondava da bambino. Una madre tossicodipendente, un padre assente, le comunità alloggio per minori, la vita per strada, gli errori e gli strascichi.

Tutto questo, nel bene e nel male, l’ha portato a essere la persona che è oggi, con i suoi pregi e i suoi difetti. In questi nuovi capitoli dell’epica battaglia contro il drago, scopriremo di più su quanto la determinazione possa farti risalire dal fondo del mare, dando ossigeno al cuore, trasformandosi in amore.

Leggere Quanto mi servivi  è stato molto intenso e terapeutico, perché la vita che racconta Francesco sono sia in grande, che in piccolo, quelle che gli hanno permesso di essere il ragazzo, l’uomo e il padre che è oggi.

Certo leggendo certi episodi tra le righe si rimane esterrefatti e arrabbiati, non è stata una vita facile e a volte verrebbe di tuffarsi tra le pagine e dire al giovane Francesco “Andrà tutto bene”, anche solo per dare un po’ di conforto e un abbraccio a qualcuno che dalla vita ha avuto poco e sempre in salita.

Si sa che è nelle avversità che si forma il carattere e se non si soccombe, si diventa forti, si sopravvive.

Solo che Francesco, in Quanto mi servivi  alternando flashback sul suo passato e sul suo presente da padre ci fa capire anche che c’è modo e modo di diventare adulti. C’è chi non lo diventerà mai, c’è chi diventa maturo solo per egoismo e cinismo e c’è chi come Francesco da fare tesoro delle brutte esperienze per farci una corazza, ma mantenendo vivo l’amore e l’obiettivo di essere migliore, un uomo migliore, un padre come non lo aveva mai avuto.

È difficile affrancarsi dal dolore subito e dalle sofferenze, ma leggendo i ricordi di Papà Francesco da giovane e il suo presente è evidente che tutto il male o quale è stato trasformato in amore per Tommi e per la mamma Vale.

Da genitore e da ex figlia con disabilità so quanto possa essere difficile esserci per i nostri figli ed essere migliori. Si sbaglia certo, ma l’amore per i figli e per il loro futuro supera tutto e spinge a mettersi in discussione.

Essere adulti e creare una famiglia pone sempre interrogativi e dubbi, questi però non devono portarci a gettare la spugna, tanto più se c’è un figlio che ha bisogno di combattere contro “un drago” dal nome sconosciuto, ma dai poteri infidi e devastanti.

È difficile essere se stessi, ma anche calarsi nei panni degli altri, cercare di capire, provare empatia e amore.

Francesco Cannadoro come padre, e come persona, credo riesca alla perfezione a vedere ciò che i più non vogliono vedere, e non solo perché ne ha passate tante.

Quanto mi servivi  è la storia di Francesco e della sua vecchia e nuova famiglia, ma è un po’ anche quella di ognuno di noi, perché ciascuno di noi affronta sfide e cerca di trarne coraggio.

“Io credo che tutta questa cattiveria e le mancanze che abbiamo verso il prossimo siano frutto di una sorta di frustrazione generale.

Viviamo una realtà insoddisfacente e buttiamo il nostro malessere sugli altri, restando convinti di essere comunque nel giusto, perché, come dicevo, non notiamo quando perdiamo di vista il limite e non ci accorgiamo della differenza tra ciò che diciamo e quello che facciamo. Giudichiamo senza appello i comportamenti degli altri e concediamo sempre ai nostri l’attenuante del contesto.”  (Cit. pag. 33)

Samanta Crespi
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