#Cucitialcuore: recensione

Pochi libri mi hanno toccano, come mi ha toccato questo di Francesco Cannadoro #Cucitialcuore – Diario di un padre fortunato.

Molti sicuramente conoscono già la storia di Tommi, per via del blog e dei social, come Facebook, dove la pagina “Diario di un padre fortunato” ha diverse migliaia di seguaci e commentatori appassionati.

È stato proprio grazie a questa pagina che, casualmente, sono venuta a sapere del libro, lo stesso giorno l’ho acquistato e letto, tutto d’un fiato.

È stato difficile arrivare alla fine della storia senza avere le lacrime agli oggi è stata davvero una lettura emozionante, commuovente e intensa.

Il libro racconta la storia di Tommaso “Tommi” con la “i”, un bambino tanto atteso e della sua meravigliosa famiglia.

A portarci passo passo dentro la vita di questo bambino è il suo papà, Francesco Cannadoro, che racconta non solo della sua esperienza di padre, ma molto anche di se stesso e della vita che ha vissuto, non certo semplice.

Tommaso è unico, non solo nel senso che lo sono tutti i bambini, ma è unico in quanto, dopo pochi mesi dalla sua nascita, i suoi genitori si accorgono che qualcosa non va’, è così, dopo tutta una serie di accertamenti gli viene diagnosticata una rara malattia genetica, di cui non si conosce ancora il nome, ma che papà Francesco chiama “il drago”, per dirla più semplicemente, si può tradurla in un’atassia cerebellare progressiva e, purtroppo, degenerativa, con interessamento del nervo ottico.

Una situazione, quella di Tommaso, in cui credo nessun genitore vorrebbe trovarsi, è come una sentenza, un macigno che nessuno vorrebbe affibbiare al proprio figlio, ma anzi vorrebbe volentieri fare a cambio.

Il libro si apre con una domanda provocatoria: Chi vorrebbe un figlio disabile? Il papà di Tommy risponde “Io no”, il che può sembrare un atteggiamento cinico, egoista, ma io lo trovo perfettamente realista. Infatti Francesco tra le righe fa capire perfettamente quello che è il suo sentire e il suo pensiero, il quale va molto oltre un rifiuto della “disabilità” del figlio.

Non è un rifiuto in toto, ma una dolorosa accettazione, una presa di coscienza che talvolta non esclude la rabbia, i sogni, i se, i ma e le speranze.

Lo capisco bene papà Francesco, perché io vivo le cose, nella mia personale esperienza, da entrambe le parti:

  • come figlia, perché sono stata una figlia, una bambina disabile per via di una paralisi celebrale infantile dovuta alla mia nascita prematura,
  • come madre, perché ho avuto la fortuna di diventarlo, di una bambina perfettamente normotipica, posso solo immaginare il dolore e la sofferenza dei miei genitori, quando dissero loro che sarei stata un “vegetale”, che non avrei camminato mai, e per fortuna che col tempo furono smentiti.

Quindi sì, da genitore anche io sono d’accordo con ciò che scrive Francesco Cannadoro nel libro: è difficile accettare di avere un figlio con una disabilità grave, lo è ancor di più se il figlio ha un futuro incerto, come Tommaso, ma personalmente non mi sento di giudicare chi non ce la fa a€ affrontare e ad accettare tutto questo e magari scappa.

Io stessa, pur essendo disabile, forse non riuscirei ad accettare un’ ipotetica disabilità di mia figlia, proprio perché essendo stata dall’altra parte della barricata “so” cosa si passa, e un conto è se la cosa interessa me, o se colpisce mia figlia. Con quel senso di colpa e impotenza non so se sarei riuscita a conviverci.

Però, c’è un però, nelle parole del libro non c’è solo rabbia, delusione o incredulità per questo bambino col destino tanto avverso, ma c’è anche tanto amore, tanta dedizione. Tutta quella che solo chi ha compreso quanto amore c’è per un figlio, può dare.

Questa cosa me ne fece capire altre due. La prima, col senno di poi un po’ scontata, è che se mai gli fosse successo qualcosa mi sarei ritrovato, per la prima volta nella mia vita, completamente perso. Dolorante e livido. Una condizione che nemmeno il suo sorriso sarebbe riuscito a risollevare. Sarei crollato a terra, inconsolabile. Morto. La seconda è quella che diede il via a quest’avventura sul web, il primo insegnamento di mio figlio: ridere nonostante tutto. Fare in modo che l’amore e la gioia di esserci non vengano schiacciati dalla paura di non esserci più. 

Questo passo del libro è meraviglioso e dannatamente vero, ma ce ne sono molti altri.

Un genitore senza un figlio si sente perso, che cosa è? 

Non esiste nemmeno una parola per definire questa condizione.

Ma se il tempo che si ha con il proprio figlio è tarato su un orologio che gira con le lancette impazzite, allora è giusto godere di ogni istante, di ogni sorriso, di ogni sguardo.

“Io non mi perdo tutto questo oggi, piangendo per domani. Nessuno dovrebbe farlo.”

Gli occhi di Tommi hanno perso la capacità di vedere, ma in quel suo sguardo c’è un interno universo di amore e di gioia, e forse è proprio vero che gli occhi sono lo specchio dell’anima. La storia di Tommi e dei suoi genitori non è una storia qualunque, è qualcosa che vi scaverà dentro, che andrà a toccare corde che molti di noi credono ormai sepolte o inservibili.

Io non mi vergogno a dire che, leggendo queste pagine, ho pianto, mi sono arrabbiata moltissimo, col mondo, col destino, con la giustizia, ma ho anche riso molto. È stato un turbine di emozioni che non mi ha ancora abbandonato e che anche adesso, rileggendo alcune parti, non mi lascia indifferente.

Perché anche io sono mamma, perché anche io sono disabile, perché anche io sono passata attraverso certe sofferenze, certe porte sbattute in faccia a me e alla mia famiglia, prima di arrivare alla conclusione che bisogna far tesoro di ogni cosa, ogni esperienza, ogni momento. E non mollare mai, anche siamo soli in mezzo alla tempesta con la nave che imbarca acqua e solo un cucchiaio da caffè per gettarla fuori.

E come dice sempre il papà di Tommi, lanciando anche l’hashtag omonimo “Il drago ci fa un chinotto”.

Samanta Crespi

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