Colori: recensione

Si tende molto spesso a non voler vedere certe problematiche che affliggono le persone, un po’ perché non si vuole risultare invadenti, un po’ perché alcune di queste situazioni non sono percepite come patologiche, quando invece lo sono.

Sto parlando dei disturbi alimentari, sempre più diffusi tra i giovani e non, e che portano con sé, spesso e volentieri, serie conseguenze, sociali, fisiche e di salute.

Colori è l’ultimo libro di Giulia Previtali edito da Tulipani e parla proprio di questo, di come una percezione distorta di sé e un rapporto alterato con il cibo possano portare le persone verso una brutta strada, dalla quale poi è molto difficile tirarsene fuori.

La protagonista del racconto è Ginevra la quale si trova ricoverata in ospedale, un centro dedicato alla cura e riabilitazione di chi ha disturbi alimentari, dall’anoressia alla bulimia, all’obesità.

Ginevra è convinta che nel dimagrire e nel cercare di perdere sempre più peso troverà la giusta forma per se stessa.

Accanto a lei troviamo pian piano diversi personaggi, la migliore amica, i genitori, il suo ragazzo e i medici che la hanno in cura.

Sicuramente, però, il personaggio che rappresenta la chiave di volta e in un certo senso il punto focale del romanzo è la compagna di stanza di Ginevra,  Melanie, un’artista dai capelli blu e molte cose da raccontare. Anche lei si trova nel centro per lo stesso motivo di Ginevra, anche se le due ragazze sono molto diverse legano subito, e si sa come in quelle situazioni sia fondamentale un’amica che ti capisca e che non ti giudichi.

Tra Ginevra e Melanie si instaura un rapporto forte, quasi di simbiosi, ed è proprio attraverso i dialoghi  e gli scambi tra le due che via via si viene a scoprire il passato di Ginevra e il perché lei ora si trovi lì.

Ovviamente anche altri personaggi sono fondamentali per Ginevra, ognuno a suo modo, per far sì che si renda conto se vuole davvero vivere, o lasciarsi andare in nome di un peso ideale che non esiste e che la consuma, la sua amica Aria che cerca spesso di aiutarla a reagire, a spronarla a scrivere.

Il suo ragazzo Mattia che con la sua presenza/assenza fa capire a Ginevra cosa davvero vuole, poi in ultimo ci sono i medici e i genitori con i quali, però, la ragazza mantiene spesso un distacco, una certa conflittualità.

Le cose non sono mai semplici come appaiono e Ginevra per ritrovarsi, per ritrovare se stessa dovrà attraversare diverse sfumature di dolore, di buio, di grigiore, di assenza e di doloroso abbandono.

Avevo già letto il primo romanzo di Giulia Previtali, un Fantasy classico e dai toni romantici dal titolo Le profezie di Fryne, di cui trovate la recensione qui, ma questo suo nuovo lavoro dimostra quanto l’autrice sia migliorata, sia nello stile, che nel modo di trattare certi temi anche molto delicati, ma con una profondità di analisi e senza scadere nel pietistico o banale.

Colori è un romanzo breve, ma che parla a ciascuno di noi, ci ricorda quanto fragile sia la nostra identità e quanto siano fragili anche le nostre certezze riguardo la vita, i sentimenti e le delusioni.

La protagonista si veste, anzi si sveste di una corazza fatta di rifiuto ed eccessivo controllo sul peso sul cibo e sulle calorie, ma in realtà tutto da origine dai sentimenti, da una svalutazione di sé.

Quanti di noi possono dire di essere immuni al giudizio altrui, alle battute dette senza pensarci? Ecco questo libro fa riflettere anche su cosa dire ad una persona e come dirlo, anche in relazione all’aspetto fisico.

Anche io, per un periodo della mia vita ho attraversato una fase simile a quella della protagonista, tanta era la mia sofferenza emotiva che mi rifiutavo di mangiare.

Ero giovane, anche un po’ impulsiva, fortunatamente me sono uscita, ma spesso mi domando quanti ragazzi e ragazze vivano questo tormento interiore, questo rapporto col cibo, del tutto alterato , del troppo o troppo poco senza che nessuno si accorga del loro malessere, o peggio minimizzi?

I disturbi alimentari di qualsiasi natura essi siano, non sono uno scherzo, un capriccio, o una moda, ma un preciso messaggi: una richiesta di aiuto.

In Colori viene descritta anche molto bene la vita che si vive in un “centro” di recupero.

Tutto risulta scandito, organizzato, asettico, in qualche modo asfissiante, ma rassicurante, almeno per gli ospiti della struttura.

Leggendo ho avuto l’impressione che spesso chi si trova lì, come Ginevra, o Melanie abbia più paura della vita che c’è fuori, che non delle privazioni o costrizioni dell’ospedale, o di morire.

E su questo ultimo punto devo dire che ho apprezzato molto il fatto che alcune situazioni descritte non venissero edulcorate, per faccia male leggere, trovo che sia molto realistico e molto maturo porre la questione in questi termini, anche se crudi senza giri di parole.

È una lettura che consiglio davvero, sia a chi ha avuto a che fare con delle situazioni del genere, sia a chi non ci è mai passato, ma che si interroga sul perché questo possa accadere, le emozioni umane sono complicate e talvolta in questi casi, come nel racconto di Ginevra si fanno voce attraverso il corpo, un corpo esageratamente magro, o al contrario esageratamente grasso in fondo dicono, spesso, la stessa cosa: “non sto bene, non sono felice, ho bisogno di aiuto.

Colori parla proprio di questo, di un percorso difficile, sofferto, travagliato, ma parla anche di una rinascita, un nuovo inizio che non sarebbe stato possibile senza aiuto e comprensione.

Dal prologo:

 “Eppure, all’inizio, la malattia indossa delle candide vesti. Se avesse potuto ritrarre il suo Cavaliere, avrebbe indossato un’armatura così chiara da accecarla. Anche i suoi alfieri, i suoi servi, tutti coloro che venivano sfiorati dal suo tocco si sarebbero ammantati di drappi impalpabili, evanescenti. Come il fumo di quella candela. Un pallido sorriso le stirò le labbra. Ormai, lo sapeva: più stavi male, più diventavi chiara.”

“Una volta aveva sentito dire che le cose negative si compiono e si realizzano solamente perché, in fondo, noi lo vogliamo. Perché abbiamo bisogno del dolore, di tanto in tanto. Ginevra aveva creduto fosse un’idiozia fino a poco tempo prima, fino a quando la stanza 44 non era diventata la sua quotidianità. Lei era cosciente di cosa significasse buttare fuori tutto il cibo che aveva dentro dopo ogni pasto, eppure si convinceva che fosse «il male minore per un fine più grande.»”

Samanta Crespi

© Riproduzione Riservata