Pitch Perfect 3: recensione

Tornano le Bellas, il gruppo vocale più famoso della nuova commedia americana, a cui è stata dedicata una serie cinematografica cominciata nel 2012 con il lungometraggio Voices (titolo italiano scelto all’originale Pitch Perfect) di Jason Moore, il tutto traendo ispirazione da un libro di Mickey Rapkin.

Arrivate alla loro terza avventura su grande schermo, le nostre protagoniste si trovano alle prese con nuove rocambolesche situazioni, tra vecchie conoscenze e gare di canto da vincere, sfruttando così al meglio la loro indole canora; capitanate dal duo Beca (Anna Kendrick) e Ciccia Amy (Rebel Wilson), ecco quindi che Pitch Perfect 3 ce le porta al cospetto di un nuovo tour europeo, dove si ritroveranno a dover gareggiare con altri gruppi musicali difficili da battere.

Ed è durante questo contesto che Amy ritrova a sorpresa la presenza del poco affidabile padre Fergus (John Lithgow), un uomo avido ed attaccato al denaro, che però sembra essere cambiato per l’amore della propria figlia; oltre a ciò, Beca, ormai in cerca di una vera e propria conferma professionale sul palcoscenico, dovrà fare i conti con delle ardue decisioni da prendere, il tutto senza dover dare le spalle al resto delle sue colleghe, Chloe (Brittany Snow), Aubrey (Anna Camp), Emily (Hailee Steinfeld), Cynthia Rose (Ester Dean), Lilly (Hana Mae Lee), Jessica (Kelley Jakle), Ashley (Shelley Regner), Flo (Chrissie Fit) e ovviamente Ciccia Amy.

Reduci dai risulti ad alta comicità femminile (ma molto meno qualitativi) del secondo capitolo, che vedeva dietro la macchina da presa l’esordio dell’attrice Elizabeth Banks, la quale di questa serie ne è produttrice ed anche interprete, i fan di questa nota saga musicale ritroveranno forse ben volentieri le loro beniamine dall’ugola d’oro nel in Pitch Perfect 3, film concepito sotto la direzione registica di un nome come Trish Sie, legata al binomio cinema/musica grazie ad un titolo come Step Up all in ed ulteriore occhio femminile alla guida del mondo appartenente alle Bellas.

Certo il divertimento non manca ed essendo dei personaggi già ben rodati in riguardo (soprattutto la Ciccia Amy di Wilson) chiunque sa a cosa si potrebbe andare incontro, solo che ciò che non si può fare a meno di notare è la totale assenza di una costruzione narrativa, anche a livello farsesco e demenziale del caso, che possa dare un senso all’operazione in sé.

Ridere si ride, il ritmo è, purtroppo, eccessivamente isterico e le parentesi gratuite abbondano, fatto sta che Pitch Perfect 3 è un lungometraggio che veramente fa dell’improvvisazione un marchio di fabbrica, mostrando le sue deboli premesse con fare divertito e (poco) divertente, ma senza risultare eccessivamente insopportabile come il precedente capitolo.

Inoltre ci si concede ad una parentesi action qua, affidando a Rebel Wilson assurde capovolte e combattenti a mani nude con nerboruti nemici (uomini), il tutto accantonando completamente il plot iniziale che fa scattare la scintilla della storia (la gara canora); in mezzo a tutto ciò troviamo risvolti psicologi faciloni (storie sentimentali gettate gratuitamente), il ritorno (inessenziale) della Banks e di John Michale Higgins nei panni dei commentatori Gail e John ed infine un Lithgow in vena di partecipazione per via di qualche bolletta da pagare, sennò non si spiega questa sua inutile escursione.

Ma nonostante la miriade di difetti presenti in Pitch Perfect 3 qualche risata è anche possibile rimediarla, ma una volta per tutte è meglio che chiudano le avventure delle Bellas, perché a quanto pare non hanno più nulla da dire, sia cinematograficamente parlando che, assurdo dirlo, musicalmente.

Mirko Lomuscio