Non è vero ma ci credo: recensione

Per presentare i protagonisti di questa commedia in uscita nelle sale toccherà fare un salto indietro nel tempo di almeno una ventina d’anni, nel pieno degli anni ’90, dove su Magic Tv, canale romano incentrato esclusivamente su videomusicali, la nostra coppia impazzava tra un pubblico di giovani parlando esclusivamente di hit del momento e dei cantanti di successo che andavano per la maggiore; loro sono Nunzio Fabrizio Rotondo e Paolo Vita, due sagome ben definibili (il primo corpulento e barbuto, il secondo magro e con naso ben in vista) che ora, dopo molta acqua passata sotto i ponti, decidono di dover dare un loro contributo al mercato cinematografico con una commedia che rispecchiasse il loro humour.

Sotto la regia dell’esordiente Stefano Anselmi, ecco che i due allora approdano in sala con questo Non è vero ma ci credo, ovvero un prodotto ironico animalista e vegetariano, dove entrambi ricoprono i ruoli di due amici per la pelle dalle idee bizzarre e quasi sempre fallimentari.

Loro sono, appunto, Nunzio e Paolo, una coppia che per sbarcare il lunario le ha tentate tutte nella vita, senza mai concludere nulla, risultando così essere dei completi falliti agli occhi delle loro rispettive mogli, maggiori finanziatrici delle operazioni svolte dai due perdenti.

Un giorno, complice l’incontro col traffichino Armando (Maurizio Mattioli), i nostri scapestrati affaristi decidono di voler aprire una nuova attività particolare, ovvero un ristorante che serve solo cibo vegetariano.

Inutile dire che anche questa di idea non porterà nulla nelle tasche di Nunzio e Paolo, ma il coinvolgimento di uno dei maggiori esperti critici culinari, tale Michel De Best (Maurizio Lombardi), potrebbe risollevare le sorti del locale; unico problema, quest’ultimo mangia solo cucina a base di carne.

Cosa fare? Ecco quindi che Nunzio e Paolo escogiteranno qualcosa al di là del pensabile, senza raggirare i loro principi animalisti e vegetariani.

Alla visione di un film come Non è vero ma ci credo la domanda sorge spontanea: veramente si sentiva il bisogno di una commedia interpretata da questa due sagome, protagonisti delle tv regionali?

Ormai nel nostro panorama tutto è consentito e quindi, seguendo il trend che chi fa successo in un certo campo può esordire anche al cinema, ecco che l’opera di Anselmi prende forma in tutta la sua superficialità, che sia narrativa o scenica, mostrando una serie di difetti e colpi bassi per il più insofferente degli spettatori, il tutto senza alcuna pietà.

Si parte dai due interpreti, gli stessi Rotondo e Vita, che per la recitazione non sono proprio portati, passando poi ai risvolti narrativi del caso che rendono questa commedia dal palato facile un mero teatrino fine a se stesso, con personaggi improbabili e oltre il macchiettistico (il critico dalla parlata francese, il lavapiatti cinese che parla romano, la cameriera bona ex spogliarellista); insomma la sagra del “come non agire per realizzare una buona commedia”.

Si gettano nel calderone di questa storia bislacca, che a suo modo ha anche dei buoni risvolti favolistici (l’infante voce narrante è l’unica idea degna di nota), anche sottotrame gratuite che servono ad inserire personaggi in partecipazione speciale, come il succitato e onnipresente Mattioli ed una Loredana Cannata nelle vesti di animalista incallita, la cui presenza alimenta il messaggio vegetariano che permea la vicenda raccontata in Non è vero ma ci credo (titolo che col contesto narrato ha poco da spartire in tutta sincerità).

Una commedia veggie dovrebbe essere, ed invece per lo più è una commedia vergie(ognosa).

Mirko Lomuscio