Il bene mio: recensione

Presentato alla 15a edizione delle Giornate degli autori dell’ultimo Festival di Venezia, approda nelle sale Il bene mio, l’ultima pellicola del giovane autore Pippo Mezzapesa, noto regista di un mockumentary come Pinuccio Lovero Yes I Can e de Il paese delle spose infelici, sua opera d’esordio, il quale torna con un racconto poetico su cosa significa dover ricordare e preservare nella memoria ciò che ci è più caro al mondo, uno spunto che insomma deve saper tirar fuori il meglio in fatto di sentimentalismo.

Protagonista del lungometraggio è un Sergio Rubini onnipresente, pedina centrale su cui ruota l’intera narrazione de Il bene mio, la cui trama è ambientata nella immaginaria cittadina pugliese chiamata Provvidenza, un luogo reduce da un terremoto che ha fatto perdere la vita a molti abitanti.

L’unico ad essere rimasto è Elia (Rubini), un uomo che in quel disastro ha visto perdere la vita della propria moglie e che, da solo, è rimasto di guardia ai ruderi dell’intero posto, ostacolando così anche gli interessi delle autorità che lo vorrebbero fuori dalla zona.

Nonostante ciò, l’uomo scopre ben presto che tra le macerie di Provvidenza si nasconde una presenza, qualcuno che sfugge dalla vista di Elia e che invece, ben presto, viene stanato; lei è Noor (Sonya Mellah), una profuga scappata da un paese fuori Italia, costretta a dover vivere tra i resti di quelle abitazioni ormai abbandonate.

L’incontro tra i due farà sì che in Elia scatti un sentimento profondo per le sue terre, prendendo una netta decisione riguardo alla richiesta di andare a vivere nella Nuova Provvidenza, allestita dal sindaco del luogo Pasquale (Francesco de Vito); dover lasciare dietro le spalle i propri ricordi non è gesto facile da compiere per Elia.

Che Mezzapesa sia un autore che si è fatto le ossa esercitandosi col materiale documentaristico è cosa che si nota bene, già dalle prime immagini de Il bene mio, le quali intendono mostrare come il luogo che fa da sfondo all’intera vicenda vivi di sola presenza, raccontando per immagini ciò che in passato Provvidenza ha dovuto vivere.

Da qua in poi si uniscono un senso della narrazione e della poesia che si alternano nella visione, consentendo ad un intenso Rubini, qua in una performance notevole e tra le migliori delle innumerevoli da lui affrontate, di primeggiare rappresentando la memoria degli abitanti, o meglio ancora quella degli italiani in sé, che mai dovrebbe essere abbandonata.

In poche parole Mezzapesa crea un’opera ricca di allegorie e metafore sentite, cercando di fare il punto su ciò che tiene vivo l’animo dell’uomo qualunque, gettando anche in mezzo simboliche situazioni che analizzano l’impossibilità di integrarsi con altre mentalità estere (il commovente rapporto tra Elia e Noor della Mellah), dettaglio molto attuale con le realtà che viviamo oggi.

Il bene mio è un lungometraggio che gioca parecchi di questi aspetti, muovendosi con una maestria basilare e un occhio commovente, certo, lo fa con guizzi autocompiaciuti che rendono deleterio anche il più sentito dei racconti, ma finalizzato nel modo degno, senza rinunciare anche a parentesi ironiche (affidate alla spalla Dino Abbrescia che ricopre i panni di Gesualdo, amico di Elia).

Un film sull’elaborazione del lutto, sulla preservazione dei ricordi, Il bene mio è un piccolo, modestissimo, monumento sulle nostre future speranze a venire.

Mirko Lomuscio