La figlia di Mazinga: recensione

A dispetto di quel che potrebbe far pensare il titolo, La figlia di Mazinga è una storia cruda, reale e matura più di quando si immagini.

La giovane Christine è spinta dal padre violento e squattrinato a girare per set fotografici al fine di guadagnare quanti più soldi possibile. Christine odia questa vita, odia essere sfruttata dal padre e non poter mai rivedere sua madre, che ha ormai abbandonato la famiglia.

Questa volta Acciani si sposta su un corto più narrativo, altamente drammatico. Il più grande pregio sono probabilmente gli attori. Seppur non professionisti, riescono a svolgere i loro ruoli, sia principali sia secondari, naturalmente e spontaneamente, senza mai risultare finti o artificiosi.

La colonna sonora, scritta dallo stesso regista, merita anch’essa un elogio. Un’originale insieme di malinconia e depressione misto a, seppur poca, speranza per il futuro.

L’unica pecca potrebbe essere l’innatuale dialogo tra padre e figlia in macchina, palesemente usato per dare informazioni allo spettatore sul loro passato e sulla madre della ragazza. Sarebbe bastato quello successivo al set dell’amico del padre, nel quale si dà molta più importanza alle immagini e ai suoni.

Un peccato, dato che sono proprio i silenzi, come nel precedente cortometraggio, a rendere ancor più apprezzabile questa breve pellicola.

Si spera vivamente che Enrico Acciani continui a creare pellicole, narrative e non, e che gli si venga data più visibilità, perché in essi si nascondono delle piccole perle.

 

Andrea De Venuto

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