Tutto è cominciato nel 2010, quando il medesimo team che ha dato inizio alla saga di Saw – L’enigmista, James Wan regista e Leigh Whannell sceneggiatore/interprete, ha avuto modo di realizzare l’horror metafisico Insidious, storia di spettri dall’aldilà intenzionati a mettere a dura prova l’amore di una famiglia comune americana, i Lambert; a produzione del tutto un paio di nomi noti del settore horror come Oren Peli (regista di Paranormal activity) e Jason Blum (colui che ha dato finanze a film come Scappa – Get Out, la trilogia de La notte del giudizio e Auguri per la tua morte).
Il successo fu immediato e quindi inevitabile è stato realizzare un sequel, Oltre i confini del male: Insidious 2, con Wan di nuovo al timone di regia, opera del 2013 che, grazie al richiamo ancor maggiore avuto rispetto al capostipite, ha aperto le porte ad un ulteriore terzo capitolo, Insidious 3: l’inizio, prequel ed esordio dietro la macchina da presa di Whannell, unico autore di ogni script della saga.
Personaggio collante di tutti questi film è quello interpretato dalla storica Lin Shaye, caratterista attiva da decenni ormai, sorella dell’ex patron New Line Bob Shaye e nota ai più per la sua partecipazione a film come Tutti pazzi per Mary e Critters – Gli extraroditori; la sua sensitiva Elise Rainier è in verità la protagonista assoluta di tutti gli Insidious, nonostante sia utilizzata a mera spalla, tant’è che arrivati alla quarta avventura è quindi giunto il momento di incentrare su di lei, e sul suo passato (quindi altro prequel), l’intero svolgimento di questo Insidious: l’ultima chiave, opera diretta da tale Adam Robitel, finora autore di un unico film, l’inedito The taking del 2014.
Tutto ha inizio in un lontano passato, in una casa del New Mexico; qua vive la famiglia Rainier, dove la piccola Elise (Ava Kolker), dotata di strani poteri, avverte continuamente la presenza di un qualche spettro, intenzionato a non volerla lasciar perdere col corso del tempo.
Infatti, una volta divenuta adulta (Shaye), la nostra veggente riceve una chiamata che la riporta tra le mura di quella abitazione, ormai dimenticata da tempo e lasciata alle spalle per i brutti ricordi che rappresenta; il medesimo fantasma che la ossessionava in tenera età è ancora là ad aspettarla, intenzionato a prendersi di diritto ciò che non è riuscito ad ottenere anni addietro.
Successo chiama successo, e dato che ormai la saga di Insidious attira svariati spettatori in giro per il mondo è sempre lecito dover inventare qualcosa di nuovo per risvegliare la loro curiosità; diciamo però che con questo quarto tassello la parola “novità” non è proprio presa in considerazione, dato che il film di Robitel ricicla cose viste e straviste in questo tipo di opere. In più questo appuntamento al cospetto di spettri e visioni mistiche sembra avere sempre più lo spessore di una serie tv, adeguandosi ormai ai tempi in cui la legge del piccolo schermo prende maggior sopravvento, con le sue sorprese prevedibili e strutture in cerca di un forzato colpo di scena.
Insomma, in poche parole con Insidious: l’ultima chiave ci troviamo di fronte ad una trama che prende avvio da un determinato soggetto per poi sviare in qualche fatto imprevedibile di troppo, affidandosi all’interpretazione di una Shaye ormai in sintonia con la sua Elise e a un paio di elementi di contorno messi tanto per riempire i vuoti (l’inutile rapporto tra la Rainier ed il fratello interpretato dal Bruce Davison di Willard e i topi, i forzati siparietti comici del duo di “sensori” interpretato da Whannell stesso, ovviamente anche sceneggiatore del film, e Angus Sampson, loro altra presenza fissa della serie), senza dimenticare l’utilizzo di un nuovo babau che dovrebbe portare nuova linfa a questo serial e che invece risulta essere inutile alla causa; inappropriata ciliegina sulla torta quell’insistito legame al capostipite del 2010, facendo fare capolino al demonietto di casa Lambert nel modo più gratuito possibile.
Inutile nasconderlo; ormai la serie di Insidious è prossima per un passaggio alla televisione, con questa pochezza di idee è poco ma sicuro.
Mirko Lomuscio
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