Il vegetale: recensione

Fenomeno virale, direttamente uscito dal quel sottobosco mediatico chiamato YouTube, Fabio Rovazzi è uno dei casi italiani degli ultimi tempi che ha raccolto consensi in ogni dove, grazie a qualche tormentone che ha avuto modo di farlo conoscere dappertutto; galeotta fu la canzone Andiamo a comandare, hit estiva del 2016 che lo ha lanciato e grazie alla quale Rovazzi ha potuto poi inanellare altre collaborazioni di grido, tra artisti come Fedez, J-Ax e Gianni Morandi.

Ovviamente, data la mole di popolarità riscossa, non poteva mancare per lui il salto sul grande schermo, recitando da protagonista in una qualche pellicola nostrana appartenente senza alcun dubbio al genere commedia; con Il vegetale avviene questo grande passo, un film che parla del precariato di oggi e di come la forza giovane sia poco ben vista dalle grandi imprese.

Al timone di regia di questo titolo troviamo un esperto in risate moderne come Gennaro Nunziante, cioè colui che per ben quattro film ha accompagnato il grande Checco Zalone verso la scalata al successo, qua per la prima volta alle prese con un lungometraggio da “solista”, lontano dalla presenza del noto comico pugliese.

La storia de Il vegetale è quella del giovane Fabio (Rovazzi), un laureato milanese ricco di speranze ed in cerca di un lavoro, sempre sul punto di cominciare una qualche grande esperienza professionale ritrovandosi poi con un pugno di mosche in mano.

Questo fino a quando il suo lontano padre Ninni (Ninni Bruschetta), che non vede ormai da anni, non ha un incidente d’auto, lasciando così in eredità a suo figlio una società edilizia da portare avanti; ovvio che il giovane nulla ne sa di questo tipo di cose ed in poco tempo si ritroverà a doversi prendere cura del suo futuro e di quello di una sorellina viziata (Rosy Franzese), sullo sfondo di una vita fatta di mille difficoltà ed incontri con il mondo della natura.

Non che l’opera di Nunziante sia una fresca idea mai vista sui nostri schermi, anche perché di trame che giocano sul precariato dei giovani ormai troppe se ne vedono, ma Il vegetale è una pellicola che utilizza da un certo punto di vista diverse sfaccettature, chi buone e chi cattive.

Innanzitutto i pro sono dovuti al fatto che alla fine dei giochi l’opera riesce a rendersi piacevole per ciò che racconta e come lo racconta, con assoluta facilità narrativa e qualche sottottesto sociale non proprio sbagliato per il suo contesto (la visione dell’integrazione razziale in Italia per nulla scontata e mai troppo fastidiosa), salvo però scadere in qualche momento telefonato (la partecipazione di Luca Zingaretti non riserva grandi sorprese) ed in qualche fiacca idea (il cameo di Barbara D’Urso, la storia d’amore con la maestrina interpretata da Paola Calliari).

I contro invece vengono proprio da lui, Rovazzi, un personaggio che si vede non avere il physique du role per reggere un’intera commedia e del quale non si riesce a trovare una degna motivazione del suo coinvolgimento in riguardo, salvo il grande richiamo verso le masse (che non è poco); non ha presenza, non ha la battuta e neanche la giusta simpatia per risultare adatto ad un personaggio del genere, e dato che stiamo parlando del protagonista assistere ad una visione di un’ora e mezza di durata in questo modo è davvero ardua.

Fortuna che nel contorno qualcuno mette del suo, tant’è che la migliore del cast risulta essere la piccola Franzese, magnetica per quanto riesce ad essere odiosa e divertente allo stesso tempo.

Con Il vegetale non abbiamo proprio la conferma di un nuovo astro nascente della commedia in quanto protagonista, ma almeno abbiamo la certezza che anche lontano da Zalone il buon Nunziante possa riuscire a tirar fuori alcune trovate degne di nota; almeno quello sì.

 

Mirko Lomuscio

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