Il Grinch: recensione

Vera e propria tradizione natalizia tutta americana, la mitologia che si porta dietro il Grinch, storica creatura animata nata dalla mente del compianto Dr. Seuss (al secolo Thodore Seuss Geisel), è ancora materia d’ispirazione per molte menti cinematografiche, le quali insistono nel produrre prodotti per bambini ispirati all’unico essere che odiava il Natale.

In principio c’è stato lo scritto creato da Seuss stesso e pubblicato nel 1957, a cui seguirono alcune trasposizioni fatte per il mondo della celluloide, di cui le più importanti da citare sono il cortometraggio d’animazione del 1966 intitolato Come il Grinch rubò il Natale, per la regia di Chuck Jones, e il lungometraggio in carne ossa di Ron Howard datato 2000, Il Grinch, con un Jim Carrey ricoperto da un make up da Oscar (del genio Rick Baker) a vestire i panni del perfido protagonista.

E dopo che sono passati ben 18 anni da questa ultima escursione live action, qualcuno ha pensato bene di riportare questo singolare protagonista nel regno dell’animazione moderna, e quel qualcuno risponde al nome della Illumination Entertainment, appartenente a Chris Meladandri, ovvero casa creatrice di una saga di successo come quella nata da Cattivissimo me e che con Il Grinch 2018 intende rispettare una vecchia tradizione ricca di valori e calore natalizio, precedendo alla visione un cortometraggio animato che vede i temuti Minions alle prese con una esilarante fuga da un penitenziario (titolo Yellow is the new black).

Per la regia di Yarrow Cheney (suo Pets – Vita di animali) e Scott Mosier (al suo esordio ma vecchio sodale produttore del cinema di Kevin Smith), questo nuovo lungometraggio seussiano narra quindi le gesta degli abitanti di Nonsochi, ridente cittadina dedita alle festività più allegre, prossima a dar sfogo della propria gioia con l’arrivo della Vigilia di Natale.

Non proprio tutti però hanno intenzione di voler festeggiare, perché al di fuori del centro abitato, dentro ad una grotta scavata in una montagna, abita il signor Grinch, un essere peloso che della felicità di Nonsochi vorrebbe veramente fare a meno, evitando il più non posso tutte le gioiose ricorrenze possibili, Natale in primis.

Ma non contento di isolarsi da tanto felice fragore, il nostro Grinch decide anche di rovinare le festività, attuando un piano che possa rendere tristi gli abitanti di Nonsochi, proprio nel momento in cui la piccola Cindy Lou ha deciso a tutti i costi di catturare Babbo Natale.

Sarà per tradizione o perché l’eredità lasciata dal lavoro del Dr. Seuss riesce ancora scaldare il cuore di molti, fatto sta che non si è potuto fare a meno di riportare sui grandi schermi Il Grinch in versione animata moderna, utilizzando in originale per l’occasione la voce di Benedict Cumberbatch (in italiano è Alessandro Gassmann a dare corde vocali al protagonista).

Un’operazione cha a conti fatti sa di minestra riscaldata, non inutile perché in vista delle festività fa sempre il suo effetto, ma non ricco di elementi che avrebbero potuto differenziarsi da ciò che è già stato visto a riguardo; Cheney e Mosier si accontentano di dare l’essenziale, portando in scena il Grinch meno perfido che si sia mai visto (poche o nulle sono le marachelle che compie nei confronti dei Nonsochi) e dando ancor meno spazio alla sottotrama di Cindy Lou e i suoi amici, un modo di agire che non trova un vero e proprio perché, ma che in conclusione rende questo cartoon quel prodotto di poche pretese quale sarebbe dovuto essere.

Forse l’intenzione è quella di acchiappare nuovi giovani spettatori e vecchi nostalgici dell’operato di Seuss, per poi raggrupparli in questa visione indolore realizzata col pilota automatico,il tutto in modo che Il Grinch possa essere meramente quel successo di pubblico sperato; una tattica produttiva degna della creatura pelosa che dà il titolo al film, e quindi omaggio migliore non si poteva tirar fuori.

Mirko Lomuscio