Bohemian Rhapsody: recensione

Hanno ammaliato milioni e milioni di persone nel mondo, con i loro pezzi venduti ed ascoltati in ogni dove nel globo terrestre, era pure ovvio che prima o poi si sarebbe occupati di loro anche la cinematografia, con un biography che ne rispettasse il mito e l’assoluta gloria ottenuta nei decenni passati; stiamo parlando dei Queen, loro, quelli di Radio Ga Ga e We are the champions, il quartetto che deve la propria gloria soprattutto al carisma e alla voce del loro cantante, il mitico Freddie Mercury, artista di origini orientali (il suo vero nome era Farrokh Bulsara) morto di AIDS nel 1991, dopo aver avuto una esistenza ricca di degni allori e anche di inaspettate parentesi drammatiche, che vanno dalla sua continua solitudine alla scoperta della sua stessa sieropositività, senza escludere la propria lotta per i suoi diritti di gay dichiarato.

Insomma, una serie di elementi che veramente Hollywood non poteva fare a meno di notare e che decide di riportare sul grande schermo per mano di Bryan Singer, il papà degli X-Men cinematografici e de I soliti sospetti, che qua mostra un’inaspettata dote musicale intenzionata ad uniformare la lunga epopea musicale di Bohemian Rhapsody; un progetto annunciato per anni e che per la parte di Mercury stilò nel tempo una lista di probabili candidati (due nomi su tutti: Johnny Depp e Sacha Baron Cohen), dai quali è ora uscito vincitore il giovane Rami Malek, un volto che si sta facendo strada grazie alla serie Mr. Robot e qua alle prese con un ruolo di un certo peso, dopo aver preso parte come comprimario ad alcune pellicole di richiamo (Una notte al museo, The master, The twilight saga: breaking dawn – Parte 2).

Con produttori esecutivi due membri originali dei Queen, il chitarrista Brian May e il batterista Roger Taylor, Bohemian Rhapsody prende vita dal concerto Live AID del 1985, evento che apre le porte ad un viaggio indietro nel tempo, cominciando dai primi anni ’70, quando Freddie (Malek), cantante esordiente, fa la conoscenza di altri musicisti in erba come Brian (Gwilym Lee), Roger (Ben Hardy) e il bassista John Deacon (Joe Mazzello); insieme formeranno un gruppo musciale e il successo immediato arriverà a fargli visita, trasformandoli in vere e proprie celebrità del rock.

Da questo momento una lunga sfilza di eventi caratterizzerà la loro esistenza, fatta sì di gloria, ma anche di parentesi amare che intaccheranno innanzitutto la vita di Freddie, artista dalle doti canore ineguagliate il qaule vedrà scorrere i suoi giorni tra scelte difficili, come quella di amare la propria Mary (Lucy Boynton) a discapito di una nuova scoperta sessuale che lo attanaglia, oppure di continuare una carriera solista, voltando le spalle ai suoi immancabili amici e colleghi.

Non una vita come le altre quella di Mercury, ma un percorso esistenziale che sfocerà nella sentita ricerca di una vera e propria famiglia, magari con “qualcuno da amare”, come dice una delle sue canzoni più famose.

Tirare su una degna biography dalla carriera dei Queen non è cosa facile, come anche dover parlare del mito che il loro iconico cantante si è portato dietro nel tempo, sia prima che dopo la sua morte; Bohemian Rhapsody è un lungometraggio che di pericoli e banalità dietro l’angolo poteva averne, solo che Singer, da regista esperto quale è, quando si tratta di rendere onore a determinate eredità artistiche (d’altronde anche gli X-Men e Superman lo sono) decide di non calcare troppo la mano su manierismi di ogni sorta e momenti eccessivamente romanzati, e qua fa parlare innanzitutto la musica dei Queen, sfoggiando una colonna sonora ricca di pezzi del noto gruppo (Under pressure, We will rock you, Mama, Love of my life) e narrandone la genesi che c’è dietro, con tanto di rapporti burrascosi tra Mercury e gli altri membri del gruppo.

Un modo di agire che accompagna sia gli occhi che le orecchie degli spettatori, rimanendo al contempo ammaliati sia dalle note musicali di queste canzoni arcinote che da alcune trovate visive (gli attacchi di montaggio continui per la realizzazione di Bohemian Rhapsody) e accattivanti (la presenza di un irriconoscibile Mike Myers, con immancabile piccolo riferimento al suo cult Fusi di testa); ma ciò che Singer fa innanzitutto è affidarsi alla presenza del magnetico Malek, il quale, nonostante apre le danze con una protesi dentale fin troppo esagerata per ricreare la bocca particolare del cantante dei Queen, si guadagna un giusto rispetto man mano che la sua performance si uniforma, dimensionando il proprio Freddie Mercury ad immagine di quello che tutti noi abbiamo conosciuto a livello musicale.

Alla fine non potrete fare a meno di emozionarvi dinanzi a Bohemian Rhapsody, nonostante in parecchi conoscano l’intera storia dietro a questa band immortale e popolare.

Mirko Lomuscio