Se son rose: recensione

Anche se con un mese di anticipo dalle tanto agognate festività natalizie, Leonardo Pieraccioni torna in sala con un nuovo lungometraggio, l’autore toscano che ormai da più di vent’anni ci alletta con le sue leggerissime pellicole in questi periodi invernali, all’insegna di qualche risata facile facile e di altrettante storielle su cui poter sollazzare la propria voglia di svagarsi; la sua ultima pellicola porta il titolo Se son rose e sulle prime sembra essere una versione tutta da ridere (non dichiarata) del dolceamaro Broken flowers di Jim Jarmush, e mentre in quest’ultimo il buon Bill Murray interpretava un uomo di mezza età alla ricerca delle sue ex ragazze, nel suo di film invece Pieraccioni ricopre i panni di un divorziato che per volere dell’amata figlia si ritrova a dover rivedere delle sue vecchie fiamme, dimostrando così di avere ancora determinatezza e decisione da vendere.

Insomma, uno spunto che sente ovviamente bisogno di un pugno di antagoniste all’altezza della situazione, e se c’è una cosa che non manca nel cinema pieraccioniano è la presenza di un tocco femminile, sempre caro al lato sentimentale di ogni opera del regista de Il ciclone; qua troviamo quindi Claudia Pandolfi, Caterina Murino, Antonia Truppo, Gabriella Pession, e Michela Andreozzi nei panni delle suddette fidanzate, un gruppo di bei volti e garanzia recitativa che dovrebbero fungere da incentivo a questo Se son rose.

La storia è quella del giornalista web Leonardo (Pieraccioni), un papà divorziato che, dopo un botta e risposta con la figlia Yolanda (Mariasole Pollio), viene coinvolto in una rimpatriata con le sue ex ragazze; galeotto un invito che la stessa figlia ha mandato in segreto a tutte loro e che queste, puntualmente, hanno risposto accettando.

A Leonardo non rimane altro che farsi coraggio e vedere se veramente tante cose sono cambiate nel tempo, dimostrando così a Yolanda, ma forse soprattutto a se stesso, di avere ancora il controllo su ciò che più desidera al mondo per la propria felicità.

Altra pellicola per Pieraccioni, altro giro di giostra nei meandri del cinema più leggero tipico del regista toscano, un duro e puro del linguaggio semplice e facilone, all’insegna della poesia più gratuita che possa uscire a riguardo; ed è proprio qua che casca l’asino con Se son rose, perché se da una parte il titolo in questione vorrebbe essere una versione comica del succitato film di Jarmush (almeno deducibile dallo spunto), dall’altra invece mostra come il creatore de I laureati sia sempre più intenzionato ad allontanarsi da un’aurea meramente ironica per buttarla su un poetico a tutto spiano, magari mostrando una parte di sé molto più impegnata di quello che sembra.

Ma tutto ciò non giustifica l’assoluta mancanza di idee che permeano la visione di Se son rose, che a tratti regala anche un paio di momenti buoni (l’incontro con la Murino, con tanto di partecipazione da parte di un divertente Vincenzo Salemme, e quello con la Andreozzi, forse il momento più toccante dell’intera visione) ma nel complesso non porta granché di buono, facendo così vagare determinate presenze nel vuoto narrativo assoluto (la parentesi della Truppo è inconcludente, come anche la partecipazione di Gianluca Guidi, l’apporto di Nunzia Schiano e una Elena Cucci versione oca) in balia ad un’opera che Pieraccioni, a scanso di spiegazioni, deve aver creduto perfetta per la mezza età che sta vivendo, tanto da coinvolgere anche sua figlia Martina, la quale ricopre i panni di Yolanda a sette anni.

Lui forse sarà soddisfatto degli esiti poetici di questo Se son rose, ma per il pubblico tali esiti potrebbero invece risultare per lo più, giocando di rime, patetici.

Mirko Lomuscio