Il corriere – The mule: recensione

Dopo aver realizzato una personale trilogia basata sul concetto di cosa significa veramente essere un eroe oggi (American sniper, Sully, Ore 15:17 – Attacco al treno), Clint Eastwood torna sui suoi passi con un film che lo vede alle prese sia come regista che come protagonista, doppio ruolo che non ricopriva dai tempi dell’acclamato Gran Torino, datato 2008.

La scelta per questa occasione nuova cade su un articolo di giornale del New York Times, scritto da Sam Dolnick, una storia che parla di un uomo anziano che per guadagnare qualche soldo portava chilogrammi di cocaina per conto dei corrieri messicani, di paese in paese; tale spunto deve aver fatto scattare in Eastwood la voglia di mettersi di nuovo in gioco in doppia veste di interprete e regista, quindi con Il corriere – The mule le cose sembrano farsi sin da subito interessanti, potendo osservare quello che ha da offrirci ora il vecchio “texano dagli occhi di ghiaccio”.

Annoverando un cast che, oltre al buon Clint, comprende anche la presenza di Bradley Cooper, Michael Pena, Dianne Wiest, Laurence Fushburne e Andy Garcia, questa pellicola racconta le gesta del novantenne Earl Stone, un uomo che, dopo anni passati dietro a divertimenti vari e per conto delle proprie passioni professionali, si ritrova di punto in bianco sul lastrico, con un pignoramento sulle spalle che lo spinge ad abbandonare casa.

La sua famiglia nulla ne vuole sapere di lui, anche se sua moglie Mary (Wiest) non nutre un forte rancore nei suoi confronti, e a tal punto l’anziano incrocia il suo destino con una nuova remunerativa attività; per conto di alcuni loschi figuri messicani deve portare col suo furgone un carico, da uno stato all’altro.

Un semplice gesto a conti fatti, ed in più la paga è più che buona; ma anche quando Earl si renderà conto di essere, senza mezzi termini, un corriere della droga lui non si tirerà indietro, nonostante i pericoli da correre.

Nel frattempo sulle sue tracce si è messa già in movimento la DEA, sotto la guida dell’agente Colin Bates (Cooper), il quale è ben intenzionato a voler catturare ad ogni costo chiunque si macchi del crimine di spaccio per conto dei cartelli della malavita messicana.

Con tutta franchezza, gli ultimi lungometraggi del grande Eastwood lasciavano presagire il peggio, mostrando un lenta mancanza d’ispirazione che man mano si faceva sempre più presente, facendoci credere che ormai il noto autore non avesse più niente da dire; Il corriere – The mule smorza ogni dubbio, anzi, ci dimostra che questo splendido quasi novantenne, ancor capace di trovare spunti nuovi nonostante la tanta esperienza alle spalle, riesce a stupirci anche quando si muove con molta modestia in una storia come questa, fatta di cambiamenti e redenzione.

L’opera in questione è una divertita testimonianza dei tempi che viviamo e dei segni che questi lasciano indifferentemente, un racconto che si posa sulle spalle esili di un Eastwood perfetto e mai così inerme; una sagoma che sorregge l’intero percorso e ogni senso logico presente nei minuti a cui assistiamo.

Preme osservare che Il corriere – The mule è innanzitutto la storia, quasi farsesca, di un anziano che se ne va in giro con centinaia di chili di cocaina, tra spacciatori pericolosi (interpretati da caratteristi come Robert Lasardo, Noel G, Clifton Collins e Garcia come boss) e poliziotti che brancolano nel buio (un Cooper in parte, assecondato dalle garanzie Pena e Fishburne), ma sempre attaccato all’amore per i suoi cari, anche se non ne vogliono sapere assolutamente di lui (tra cui la ex moglie resa da una docile Wiest e la figlia interpretata da quella vera di Clint, Alison Eastwood); ma il film non è soltanto questo, è anche un profondo confronto tra i critici tempi odierni e quelli di una volta, dove ad uscirne è un degno messaggio che guarda all’esigenza di dover assolutamente consumare la propria esistenza dietro a dei validi valori.

Eastwood regista innalza tale morale e ci rende di nuovo partecipi della visione di uno dei suoi nuovi piccoli futuri classici della settima arte.

Mirko Lomuscio