Il primo re: recensione

Di tanto in tanto, nel nostro cinema, spunta sempre fuori qualche titolo che ci fa pensare come l’aria stia cambiando dalle nostre parti, lasciando che titoli di altro genere che non appartengano esclusivamente alla commedia o al dramma si facciano strada nel nostro pubblico; variegati esempi li abbiamo avuti negli ultimi anni, che sia Lo chiamavano Jeeg Robot di Gabriele Mainetti oppure The end? L’inferno fuori di Daniele Misischia.

A questi va aggiunto anche il nome di Matteo Rovere, regista che mosse i primi passi con opere realizzate nella linea italiana del caso (Un gioco da ragazze, Gli sfiorati), poi votato ad un tipo di spettacolo più rischioso, grazie a Veloce come il vento, cioè meno avvezzo a voler assecondare la moda del nostro adagiato panorama fatto esclusivamente di risate e lacrime; mossa che ha anche svolto nella sola veste di produttore, dato che in questo ruolo ha dato vita alla trilogia cominciata con la commedia adrenalinica Smetto quando voglio di Sidney Sibilia.

Sempre tornando dietro la macchina da presa, Rovere decide di portare sui grandi schermi una storia di avventura, fatta di leggende e riferimenti storici, con protagonisti una coppia di fratelli che rispondono al nome di Romolo e Remo; esatto, con Il primo re, questo autore dal rischio forte, decide di voler raccontare la nascita di Roma, o almeno ciò che successe prima che fu deciso di fondare una città con questo nome.

A ricoprire i panni dei due fratelli troviamo gli attori Alessandro Borghi e Alessio Lapice, qua in un tour de force fisico che li vede sempre alle prese con combattimenti all’arma bianca e a mani nude, ma cosa ancor più particolare l’intero film è recitato in una lingua latina, scelta che sembra essere in linea con la veridicità dei fatti.

Siamo a centinaia di anni prima di Cristo e due fratelli di nome Romolo (Lapice) e Remo (Borghi) si ritrovano di punto in bianco prigionieri di un popolo di selvaggi; liberatisi dalle catene, assieme ad altri sopravvissuti, i due attraverseranno le terre del luogo in cerca di una zona dove fermarsi e sentirsi lontano dal pericolo di altre tribù dominanti.

Girando di posto in posto, i due avranno modo di raggiungere un villaggio abitato da pacifici abitanti, ma qua Remo, colto da un’improvvisa brama di supremazia, decide di voler far valere la voce del suo comando, eleggendosi da solo re.

Ma suo fratello Romolo non condivide tale presa di posizione e la strada verso la decisione definitiva sarà difficile e tortuosa.

Opera dalla perfetta ricostruzione storica, già accostata al lavoro svolto da Mel Gibson per film come La passione di Cristo e Apocalypto (fedeltà nella lingua antica in primis), Il primo re in verità, pur muovendo i passi iniziali sotto questa prassi, prende una via meno spettacolare di quello che sembra e strizza l’occhio in tutta la sua completezza alla narrativa scenica di un’opera quasi dimenticata come La guerra del fuoco di Jean-Jacques Annaud, film ambientato all’età della pietra.

In questo suo lungometraggio Rovere sente il bisogno di fare affidamento a dei trucchi superlativi e realizzati al dettaglio, cosa che ottiene ottimamente e che fanno pulsare di vita propria l’intera visione, ma dove acquista valore a livello estetico Il primo re sembra perderlo invece a livello ritmico, mostrando più di un’occasione che sembra girare a vuoto senza portare nulla di che al tutto (a parte qualche momento di stanca).

Ma a parte questo difetto, il qui presente titolo è una degna ricostruzione storica di un’epoca mai vissuta e vista, se non documentata da antichi scritti, e riesce a portare della vera nuova linfa al nostro cinema, sperando di aprire nuove porte ad autori vogliosi di rischiare in titoli di genere dalle prospettive interessanti.

Mirko Lomuscio