I cassamortari: recensione

Non c’è due senza tre; il noto attore romano Claudio Amendola non se l’è fatto dire una volta di più, portando quindi in scena una sua nuova regia dopo le prime due opere La mossa del pinguino e Il permesso – 48 ore fuori.

Stavolta il protagonista di Vacanze di Natale e Ultrà guarda alla commedia più nera possibile, azzardando ad una pellicola che affonda i propri artigli nel mondo delle pompe funebri, al cospetto di una famiglia protagonista che lucra sulle morti altrui gestendo i propri affari.

Titolo dell’opera è I cassamortari e parla del nucleo famigliare composto dai Pasti, quattro fratelli che hanno in gestione una ditta di pompe funebri creata dal loro defunto padre Giuseppe (Edoardo Leo).

Giovanni (Massimo Ghini), il maggiore, si occupa degli affari, la sorella Maria (Lucia Ocone) è addetta alle “relazioni” con avvenenti vedovi , il creativo Marco (Gian Marco Tognazzi) si occupa della ristrutturazione dei cadaveri, mentre il minore Matteo (Alessandro Sperduti), il più coccolato della madre (Giuliana Lojodice), è incaricato alla parte social della ditta, gestendo il sito internet.

A fronte di una grossa spesa dovuta ad un enorme buco finanziario creato dal proprio padre Giuseppe, i nostri quattro dovranno rimboccarsi le maniche e cercare assolutamente di rimediare i soldi per poter coprire tale ammanco; l’occasione arriva con la notizia della morte prematura del noto cantante Gabriele Arcangelo (Piero Pelù), avvenuta a causa di un incidente, e la sua manager, Maddalena Grandi (Sonia Bergamasco), decide di affidare le onoranze funebri proprio ai Pasti, coinvolgendoli in una grossa operazione commemorativa che raggiungerà delle vere e proprie vette di assurda immoralità.

Una dark comedy a tutti gli effetti dalle nostre parti cinematografiche è da parecchio che manca, calcolando che ormai il cinema comico italiano ha deciso di fossilizzarsi in facili morali oppure narrazioni leggere, e Amendola con I cassamortari decide di aggiornarci a riguardo, portando sullo schermo, dal 24 marzo su Prime Video, un film pregno di humour nero sin dalle prime righe della sua sinossi, parlando di persone che sfruttano il dolore della gente con il motto di famiglia “Tutti devono mori’, ma solo in pochi ce guadagnano”.

Premesse accattivanti, questo c’è da dirlo, ma lo svolgimento non è proprio solido e deciso, anzi, mentre la visione apre con una voglia di voler far fare due risate tra lutti e filosofie professionali discutibili dei nostri quattro “macabri” protagonisti, con l’avanzare della visione l’Amendola regista si lascia troppo andare dalla voglia di enfatizzare e tira su un racconto più ambizioso di quello che sembra, voltando le spalle all’animo ironico del caso e rendendo il tutto un qualcosa di meno originale.

Si può ammirare la buona volontà di un cast ben assortito, anche se a volte un po’sacrificato come succede allo stesso Ghini e al suo personaggio monodimensionale, ma non basta tutto questo per salvare le sorti de I cassamortari, il quale sfila facce note del nostro spettacolo (Ocone, Tognazzi, Sperduti, Bergamasco, Lojodice e un Pelù in una versione romanzata di se stesso), con qualche partecipazione speciale (Leo in veste di papà Giuseppe, Antonello Fassari nei panni del commercialista dei Pasti, Massimo Dapporto in quelli dell’avversario in affari Taffo, lo stesso Amendola in un esilarante cameo) per salvare il risultato finale, senza però fare i conti con l’indecisione narrativa del caso e l’ambiziosa voglia di prendersi molto più sul serio di quello che sembra.

Avesse azzardato ad una sola comicità graffiante I cassamortari poteva anche essere un godibile prodotto, ma così com’è rimane un lungometraggio senza ragion d’esistere, facile moraletta finale compresa.

Mirko Lomuscio