Hell Fest: recensione

Nostalgici del cinema slasher, ovvero quel sottogenere horror che parla di serial killer immortali e nato da quell’indimenticato capostipite quale è Halloween – La notte delle streghe di John Carpenter (anche se Alfred Hitchcock con Psycho ha gettato i primi veri semi), gioite, perché sui grandi schermi arriva un lungometraggio che dovrebbe darvi il benservito in riguardo, portandovi dentro ad una trama horror ambientata durante una grande spaventosa festa.

Tale celebrazione dà il titolo all’opera in questione, Hell Fest, un appuntamento immancabile per ogni amante dello spavento facile e degli squartamenti creativi, memore delle lezioni di cinema di serie B impartite da Venerdì 13 e simili nel pieno degli anni ’80; regia affidata a quel Gregory Plotkin qua alla sua opera seconda, dopo aver diretto Paranormal activity: dimensione fantasma, nonché montatore per alcune pellicole prodotte dal genietto della produzione moderna Jason Blum (Scappa – Get out, Auguri per la tua morte, Il segnato).

La storia ruota attorno ad un gruppo di amici, tra i quali c’è la giovane Brooke (Reign Edwards), i quali la notte di Halloween decidono di andare alla Hell Fest, ovvero un avvenimento itinerante unico in cui si assiste ad un vero e proprio festival dell’orrore, con attrazioni a tema e migliaia di persone mascherate intenzionate spaventare chiunque.

In mezzo a questa atmosfera giocosa però c’è qualcuno che ha intenzione di mietere vittime, uccidendo persone a caso e seminando del vero panico, ma cosa ancor peggiore dà la caccia a Brooke e non intende lasciarla andar via da là.

In un’epoca in cui il cinema horror ormai si incentra esclusivamente su possessioni, case stregate e suggestioni varie, spacciate per veritiere o realmente accadute, ma alla fine più false di una qualsiasi leggenda metropolitana, assistere alla visione di un film come Hell Fest fa tirare un bel sospiro di sollievo, perché con l’opera di Plotkin almeno ci troviamo di fronte ad una cara e vecchia scuola dello spavento sempre ben accetta in fatto di brividi facili.

Certo, al primo impatto tutto saprà di già visto, e forse lo è, perché chissà quante volte abbiamo assistito alla storia di un serial killer intenzionato a voler fare più morti possibili (da Michael Myers a Jason Voorhees le cose sono sempre andate così), solo che Hell Fest questo spunto se lo giostra a modo suo, ambientandolo in un contesto in cui tutto è possibile, come quello di uno spaventoso mega parco dei divertimenti (fece lo stesso Tobe Hooper con Il tunnel dell’orrore).

Insomma, c’è una sua punta di originalità almeno in questa idea, coadiuvata dal solito utilizzo di morti raccapriccianti a fare da incentivo per un buon slasher che si rispetti (mattanze a base di teste spaccate e occhi trafitti non mancano in riguardo), quindi possiamo ben dire di non trovarci insoddisfatti sotto questo aspetto; i personaggi sono quel che sono, con la “pura” Brooke della Edwards a capeggiare lo svolgimento del tutto, final girl copia carbone di molte altre, ma non proprio fondamentale nelle intenzioni narrative sia del regista Plotkin che dello script, quest’ultimo steso da ben tre sceneggiatori (tra cui il Seth M. Sherwood di Leatherface) e tre soggettisti (tra cui lo Stephen Susco di The grudge remake).

Prodotto dalla Gale Ann Hurd di Terminator, Hell Fest è un piccolo appuntamento tutto da godere, un brivido facile che regala spassosi colpi di coda (il finale è una vera chicca) e un senso per l’intrattenimento anni ’80 che tanto va per la maggiore tra gli appassionati di puro horror, almeno quelli che possono fare a meno di artificiosi prodotti incentrati su suggestioni e possessioni demoniache fini a se stesse.

Mirko Lomuscio