Godzilla 2: king of the monsters – recensione

Protagonista di un reboot tutto a stelle e strisce del 2014, dopo che nel 1997 il Roland Emmerich di Independence day ne tentò una variante che non andò a buon fine, Godzilla, creatura nipponica decantata da quel cult del 1954 di Ishiro Honda, aveva promesso di tornare e stavolta, dato che di premesse ne abbiamo viste molte (chi ben ricorda il finalino di coda in Kong: Skull Island sa a cosa ci si riferisce), a far capo dovrebbe essere un lungometraggio che mette in scena una lotta tra titani, memore di quelle lezioni di intrattenimento che le opere giapponesi passate, tra uomini in costume e combattimenti da lotta libera, hanno sempre sfoggiato col loro divertente metodo.

Con al timone di regia quel Michael Dogherty che mise mano ad un paio di horror interessanti come La vendetta di Halloween e Krampus, per non parlare della sua esperienza nel mondo dei cinecomic in qualità di sceneggiatore (X-men 2, Superman returns), Godzilla 2: king of the monsters intende innanzitutto voler essere una reunion a tutto tondo dei mostri che hanno fatto la storia del genere kaiju (i cosiddetti monster movie nipponici), per poi aggrapparsi a quella compattezza che l’opera precedente diretta da Gareth Edwards esibì confermando grandi qualità artistiche.

La trama canovaccio di questo seguito è quella della dottoressa Emma Russell (Vera Farmiga), dipendente della Monarch, società che si occupa della scoperta delle creature mostruose abitanti del pianeta, la quale un giorno viene rapita assieme alla figlia Madison (Millie Bobby Brown) da un gruppo di eco-terroristi capitanati dal glaciale Jonah Alan (Charles Dance); c’è un piano ben preciso da seguire e questo consiste nel risvegliare quei molossi che abitano in giro nel mondo, per poter così stabilire l’equilibrio naturale delle cose.

Un equilibrio che il gigante Godzilla deve assolutamente dominare, combattendo di conseguenza con temuti nemici quali sono l’hydra a tre teste Ghidorah e il mostruoso rapace Rodan, ma trovandosi anche al fianco della splendida immensa falena Mothra.

In tutto ciò, Mark Russell (Kyle Chandler), marito di Emma e padre di Madison, tenterà il tutto e per tutto per salvare la propria famiglia, anche perché la battaglia fai i mostri sarà altamente deflagrante.

Dopo esserci sbalorditi con quel titolo del 2014, che a conti fatti si appoggiava su una trama drammaturgica per poi così mostrare un monster movie con i fiocchi, ecco che torniamo al cospetto del noto “re dei mostri” per poterci accontentare di qualcosa che possa essere appagante; Godzilla 2: king of the monsters è sì una pellicola che regala ciò che promette, ovvero uno spettacolo visivo ricco di CGI e nostalgici lotte titaniche tra il lucertolone e i suoi antagonisti, ma Dougherty, conscio di non dover troppo approfondire tali elementi, appoggia la storia del suo film su un esilissimo plot, dando l’essenziale in intrecci e situazioni da sviluppare.

Certo, nessuno si aspetta un trattato di scrittura a riguardo, ma la pellicola precedente sbalordì proprio su questo piano, permettendosi un parallelo tra l’amore famigliare e la grandezza dei mostri in battaglia che fece non poco la differenza; la stessa cosa si ripete in questo Godzilla 2: king of the monsters, ma in modo molto basilare ed anche inessenziale se vogliamo, solo che almeno il grande intrattenimento c’è, volgendo lo sguardo verso l’eredità lasciata da iconiche creature come Godzilla stesso, Ghidorah, Rodan e Mothra, e gettandoci nel mezzo di un continuo deflagrare che riempie la scena (anche fin troppo), appoggiandosi poi su un lato orientale del caso inserendo nel cast la presenza di Ken Watanabe (già presente nel film del 2014) e di Zhang Ziyi.

Non affascinante come il suo predecessore, Godzilla 2: king of the monsters rimane un prodotto godibile, rispettoso dell’eredità lasciata dal lavoro svolto in passato da Honda e soci, intenzionato ad aprire un’ulteriore porta verso altri prodotti che metteranno faccia a faccia il top del bigger size (di prossima uscita è il film Godzilla vs Kong, per la regia di Adam Wingard).

Mirko Lomuscio