Ghost stories: recensione

La paura, un sentimento recondito che soltanto il cinema horror può estrapolare con tanta facilità dagli animi dei suoi molti spettatori, coinvolti quando serve nella visione di una qualche trama pronta a far spavento.

Di solito a fare da protagoniste in riguardo sono le cosiddette “storie di fantasmi”, le cui superstizioni e atmosfere sono un mantra in tali occasioni, un espediente ben gradito per chi si sente amante dei brividi forti; era successo con opere di un certo richiamo come Storie di fantasmi di John Irvin, piccolo classico del 1981 interpretato tra l’altro da Fred Astaire, per poi proseguire anche in salsa orientale con un serial cominciato nel 1987 da Storia di fantasmi cinesi, diretto da Ching Siu-Tung.

Oggi, a rinfrescarci la memoria in riguardo, con un occhio rivolto al cinema britannico di una volta e un altro all’estetica dell’horror odierno, è una piccola pellicola inglese divisa in episodi, diretta a quattro mani da un duo di registi esordienti che rispondono al nome di Jeremy Dyson e Andy Nyman, autori anche della pièce teatrale da cui la loro opera prende vita; Ghost stories è dunque un ritorno agli spaventi del passato, giocando innanzitutto sulla falsariga del cosa è vero e cosa non lo è, prendendo avvio da uno spunto che vorrebbe mettere gli spettatori di fronte ad un sentito discorso che incide sul concetto di superstizione.

Filo conduttore degli episodi che compongono questo film è la vicenda del professor Philip Goodman (interpretato da Nyman stesso), autore del programma “Truffe paranormali” e studioso del mondo ultraterreno, intento a voler smascherare quei farabutti che speculano sulle persone che credono ai fantasmi e agli spettri.

Questo fino a quando non gli capita l’occasione di seguire tre casi particolari, agghiaccianti vicende che hanno persino messo in guardia il predecessore di Goodman, lo psicologo Charles Cameron: il primo caso è quello del guardiano notturno Tony Matthews (Paul Whitehoues), entrato in contatto durante un turno di lavoro con la presenza di una bambina defunta; il secondo è invece quello del giovane Simon Rifkind (Alex Lawther), reo di aver investito con la sua macchina una creatura dalle fattezze luciferine; in ultimo c’è il caso dell’agente di borsa Mike Priddle (Martin Freeman), testimone dell’esistenza di un fantasma legato all’evento dell’attesa nascita del suo primogenito.

Un trio di storie agghiaccianti che porteranno Goodman verso la più spaventosa delle verità.

Non che l’utilizzo di un titolo del genere possa lasciare chissà quale aspettativa in riguardo, dato che l’opera del duo Dyson/Nyman quello è e quello intende voler essere, Ghost stories a conti fatti è un prodotto nato per far sobbalzare gratuitamente qualche spettatore sensibile di troppo, costruito esclusivamente da atmosfere che in tutta sincerità regalano brividi ben profondi.

Sta di fatto che non ci troviamo di fronte a nulla epocale, anche perché l’intenzione di voler rivoluzionare il genere horror qua non c’è proprio, ma Ghost stories è quel tipo di prodotto realizzato per poter omaggiare tante produzioni del passato, nate sotto il marchio di una casa come l’Amicus Productions, composte esclusivamente da creativi e spaventosi episodi (tra i tanti titoli vale la pena citare Le cinque chiavi del terrore, La bottega che vendeva la morte e Racconti dalla tomba); certo, là c’erano attori del calibro di Christopher Lee e Peter Cushing a fare la differenza, mentre qua, nell’opera di Dyson e Nyman, c’è giusto la presenza di un divertito Freeman a contribuire nelle interpretazioni, qua alle prese con un ruolo lontano anni luce dalle sue performance nel serial Sherlock e nella trilogia de Lo Hobbit.

Più che un film che farà piacere agli amanti dell’horror di oggi, Ghost stories è una piacevole parentesi per i nostalgici della suspense britannica; fine a se stessa, certo, ma comunque ben gradita.

Mirko Lomuscio