Due piccoli italiani: recensione

Attore italiano dalla carriera decennale, Paolo Sassanelli, interprete pugliese dalla presenza poliedrica, capace di alternare apparizioni brillanti (Tutti contro tutti, Song’e Napule) con altre drammatiche (Rosso come il cielo, Giorni e nuvole), per non parlare di determinate partecipazioni nel genere horror (Ubaldo Terzani Horror Show, Paura 3D), compie stavolta il grande salto dietro la macchina da presa, dopo aver realizzato in passato, tra l’altro, un paio di cortometraggi intitolati Uerra e Ammore, realizzati rispettivamente nel 2009 e nel 2013; è grazie a Due piccoli italiani quindi che il nostro attore compie questo passaggio, cimentando il proprio sapere cinematografico in una storia on the road, che parte dall’Italia ed arriva fino in Olanda, a Rotterdam, con puntatina anche in Islanda.

Protagonisti una coppia assortita composta dallo stesso Sassanelli e da Francesco Colella, attore visto recentemente in Nico, 1988 di Susanna Nicchiarelli e in Piuma di Roan Johnson, ed insieme si rendono partecipi di un racconto sull’amicizia e la famiglia, capace di poter trattare il tutto con forti sentimenti.

Loro sono Salvatore (Colella) e Felice (Sassanelli), il primo inserviente di una clinica psichiatrica ed il secondo invece paziente di questo stabile, uniti da una forte amicizia e che, di punto in bianco, decidono di scappare via da quell’esistenza.

La destinazione è Rotterdam, alla ricerca della madre di Felice, il quale ancora la ricorda nonostante lei l’abbia abbandonato quando era soltanto un bambino; con questo viaggio i nostri due amici per la pelle andranno incontro a svariate disavventure, facendo anche la conoscenza della scapestrata Anke (Rian Gerritsen), una donna capace di dare un aiuto a questa coppia di italiani dispersi nelle terre olandesi.

Insieme andranno incontro a grandi scoperte e trarranno importanti lezioni esistenziali, di quelle indimenticabili.

Genere che in Italia sta prendendo largamente piede ultimamente, vuoi per il piacere che può dare riguardo alle location, vuoi perché sul piano di scrittura potrebbe stimolare gli autori in riguardo, l’on the road ora torna a farsi notare in questo Due piccoli italiani, pellicola che sulle prime tenta di voler raccontare una semplice storia emotiva, senza disdegnare l’utilizzo di una certa ironia, ovvio.

Sassanelli regista quindi sembra credere nel suo progetto, utilizzando una regia a suo modo anche solida e con occhio anche abbastanza europeo, allontanandosi quindi da una certa visione italiota del cinema e allargando gli orizzonti visivi del caso; cosa che però non funziona bene in Due piccoli italiani è lo spessore del tutto, abbandonato ad un racconto, sì di ricerca e di affetti, con questi personaggi afflitti dai loro problemi, chi risibili (il Salvatore di Colella è sessualmente impotente) e chi invece più sentiti (un bravo Sassanelli nei panni del disabile mentale Felice), ma in sostanza poco approfondito e capace di sprofondare di minuto in minuto.

L’opera prima del buon Sassanelli ha la pecca di adagiarsi più sulla descrizione dei protagonisti in sé e meno su quella degli eventi che formano la trama, improvvisando così la visione di momento in momento, coinvolgendo nel tutto anche la partecipazione amichevole di attori come Totò Onnis e Dagmar Lassander (storica attrice di molto cinema bis italiano anni ‘70 e ’80, ricordata in film come Quella villa accanto al cimitero, Zucchero, miele e peperoncino e Shark: rosso nell’oceano), ma inutilmente in fin dei conti.

In conclusione Due piccoli italiani ci mostra un nuovo regista che ha sì delle idee, almeno su livello visivo, ma che in sostanza però non riesce ad amalgamare una degna trama; attendiamo con più speranza una seconda prova meglio compiuta.

Mirko Lomuscio