Catania, la Sicilia che conosco

Scendo dall’autobus partito da Taormina insieme a nove donne americane. Ci accolgono tassisti che in inglese dicono che le donne americane sono sensuali e sexy. Dico che sono italiana. Improvvisamente le donne italiane sono sensuali e sexy. Non ho bisogno del taxi. Devo andare in stazione a lasciare il mio trolley da ritirare nel tardo pomeriggio.
In stazione non ci sono cartelli che indicano il deposito bagagli. In Sicilia non c’è bisogno di cartelli perché i siciliani sono sempre pronti ad aiutarti. Tre uomini vedendo il mio sguardo perso, mi chiedono di cosa ho bisogno. Tutti e tre mi accompagnano al deposito bagagli. Sulla porta c’è un cartello in italiano e in inglese “Suonare il campanello. Attendere gentilmente l’agente di servizio che verrà entro 15 minuti dalla chiamata” ” Service at the request. Possible wait at 15 minutes at most”.15 minuti catanesi non sono i 15 minuti londinesi, temo di dover aspettare mezz’ora. Uno di loro fa una telefonata e da dentro un uomo apre la porta. Esco dalla stazione leggera. Vado sulle strisce per attraversare la strada. Nessuno si ferma per farmi passare ma solo per salutarsi tra di loro tirando fuori la mano e chiedendo come stanno i picciriddu. Clacson e impennate. In due in motorino senza casco. Una macchina si ferma per farmi passare ma io sono incantata da questa confusione colorata, vivace e vera come solo i siciliani sanno esserlo. Mi sveglio all’urlo del suo “bedda”. Forse voleva dirmi “scimunita” visto che ero li impalata.
Cammino verso il Duomo tra i bedda e i beautiful. Il sole mi getta addosso il suo calore e il vento vuole portar via il mio cappello. Visito il Duomo. Stanno chiudendo per la siesta. Solo una porta è rimasta aperta. Non la trovo. Un ragazzo mi indica l’uscita. È di Catania. Vive a Roma da 15 anni. Oggi fa il turista per due ore e si offre di farmi vedere la sua città. La diffidenza di noi nati al Nord prevale per i primi 10 minuti, nonostante il mio sangue mischiato di pesto e cassata. Mi porta al mercato del pesce. Il mio braccio destro schiaccia la borsa senza lasciarle respiro. Si ferma al bar. Ordina due mandarinetti al limone, specialità catanese. Camminiamo circondati da arte. Lui descrive la sua Catania con entusiasmo. La mia borsa ha ripreso a respirare. La mia reflex inizia a scattare foto. Ha l’appuntamento con un amico. Continuo da sola la scoperta della città fino a quando un giovane mi ferma per dirmi di stare attenta alla borsa. Insiste nell’offrirmi il mandarinetto al limone e di portarmi a vedere i giardini Bellini.
I miei occhi hanno visto arte e il mio cuore si è commosso davanti alla generosità e accoglienza dei siciliani.
Vado all’aeroporto. C’è caldo a Catania. C’è caldo in Sicilia. Non solo per i raggi di sole ma per il calore che i siciliani hanno nel cuore. A Genova fa freddo.

Foto e testi Roberta La Placa