Zlatan: recensione

Inconfondibile personaggio del mondo calcistico, attuale punta di diamante della squadra del Milan, Zlatan Ibrahimović è un calciatore che ha un suo mitico seguito, attaccante dal tocco inconfondibile e campione indiscusso autore di innumerevoli gol, nonché uomo capace di far discutere per il suo irruento carattere e contemporaneamente per la sua innata bravura al seguito della palla rotonda; doti che insomma possono creare attorno un’aurea a dir poco mitica, destinata a sconfinare in ben altri settori, al di fuori del regno sportivo.

Ecco quindi che, dopo la pubblicazione di una biografia su questo calciatore a firma di David Lagercrantz, il mondo del cinema si interessa a trasporre tale scritto, realizzando un’opera che potesse raccontare le gesta che hanno visto nascere il campione che è in Ibrahimović, sin dalla sua irruenta età infantile.

Per la regia di Jens Sjögren, Zlatan è quindi un resoconto dei momenti salienti appartenenti alla vita di Ibra, un amante dello sport figlio di immigrati jugoslavi, nato nella Svezia anni ’80 e cresciuto col cruccio del mondo del pallone, il mito e punto di riferimento è Marco Van Basten.

All’età di 11 anni Zlatan (Dominic Andersson Bajraktati) è all’inseguimento della passione del calcio, dando il massimo in questo sport, ma senza però concentrarsi minimamente sulla propria pessima condotta, accusato di essere un bambino irruento sia dagli insegnanti della sua scuola come anche dai suoi allenatori.

Una storia che si ripete fino alla sua età adolescenziale (Granit Rushiti), dove cominciano anche i giorni della sua gloria calcistica, dimostrando però che, conscio delle qualità che tiene in campo, potrà sempre far sì di migliorare come uomo, seguendo innanzitutto gli insegnamenti di vita del padre Sefik (Cedomir Glisovic).

Figura sportiva di sicura fama negli ultimi quindici anni, con il film Zlatan è ovvio che ad uscire fuori è l’Ibrahimović che in pochi conoscevamo, o che almeno pensavamo di conoscere, estraendo così con questo lungometraggio una visione che mette a nudo il lato intimista di questo singolare uomo di calcio, sicuramente complicato nei suoi atteggiamenti ma sempre pronto a rigare dritto di fronte all’etica del regno calcistico.

Al di fuori del manierismo romanzato tipico di ogni biography che si rispetti, il titolo di Sjögren riesce comunque a rendere accattivante il suo materiale d’origine, sfruttando una struttura che mischia passato e presente in modo da non rendersi totalmente prevedibile all’occhio di qualsiasi spettatore.

Un’operazione che riesce a rendere tollerabile anche quella inaccettabile parte privata di Ibrahimović, fatta di gesti di vandalismo tra piccoli furti e azioni violente, perché comunque analizzati in quella linea di confine che, una volta superata, rende l’idea di redenzione a cui andrà incontro il nostro discutibile protagonista.

Zlatan può quindi considerarsi un titolo che gioca bene le sue carte, rendendo il ben servito ad una sagoma dello sport che, un po’ per la sua imprevedibile sincerità, un po’ per la sua natura combattiva, si è saputa rendere anche fortemente discutibile, nonostante il palmares sui campi sportivi, il tutto però senza intaccare l’immagine di campione che Ibrahimović stesso si porta ormai dietro da tempo.

E questo film è qua a ricordarcelo, analizzando per bene, senza troppe pecche, quello che si cela dietro l’Ibra uomo, ribelle e campione.

Mirko Lomuscio