Un uomo tranquillo: recensione

Non c’è niente da fare; oramai, da quel lontano 2008, anno di uscita del successo adrenalinico Io vi troverò, Liam Neeson, che lo voglia o meno, è rimasto incastrato nel personaggio dello spietato vendicatore, nonostante in passato sia stato capace di interpretare grandi impegnativi titoli di successo, sia drammatici (Schindler’s list – La lista di Schindler) che comici (Love actually – L’amore davvero), come anche ancorati nell’universo del cinecomic (il favoloso Darkman di Sam Raimi).

Da quel fatidico giorno che fu scelto per la pellicola diretta da Pierre Morel e prodotta da Luc Besson, il divo irlandese si è sempre ripetuto a riguardo nel genere action, interpretando degli eroi armati alle prese con rese dei conti o semplici rivalse personali, senza però perdere un briciolo di umanità che li caratterizzasse, nonostante la loro pericolosità.

Ora Neeson torna su quei passi grazie al qui presente Un uomo tranquillo (nessun riferimento all’opera omonima diretta da John Ford), un thriller a tinte alterne remake angloamericano di un altro titolo proveniente dalla Norvegia, In ordine di sparizione, il quale vedeva dietro al timone di regia Hans Petter Moland, autore di Un bellissimo paese e Conspiracy of faith – Il messaggio nella bottiglia, nonché nome che si ripete a riguardo dirigendo anche il rifacimento del suo prototipo nordeuropeo.

Siamo in un’innevata cittadina del Colorado e qui vive il mite Nels Coxman (Neeson), un uomo che lavora come spazzaneve e trascorre in completa armonia la sua esistenza, assieme alla moglie Grace (Laura Dern) e suo figlio Kyle (Micheál Richardson), almeno fino a quando quest’ultimo non viene trovato inspiegabilmente morto.

La causa sembrerebbe essere un overdose da eroina, ma Nels sa che è tutta una montatura e le sue indagini lo porteranno direttamente faccia a faccia col vero responsabile, cioè il boss Trevor “Il vichingo” Calcote (Tom Bateman), un pericoloso criminale dedito allo smercio di droga temuto da molti.

Da qua la strada per la vendetta prenderà vie inaspettate, facendosi largo in mezzo a faide tra clan e personaggi assurdi, in una scintilla scoccata dalla mente castigatrice di un allucinato e violento Nels.

Non lasciatevi ingannare dal fuorviante titolo o dall’incipit che strizza l’occhio a tanti successi interpretati da Nesson, almeno di primo acchito, Un uomo tranquillo è un lungometraggio ben diverso dalle adrenaliniche opere incentrate sul tema della vendetta, anzi, senza perdere alcun tempo, dopo almeno venti minuti incentrati sul questo argomento, la narrazione si divincola in un’originale svolta strutturale tendente allo humour nero più sfrenato.

Il tocco nordico di Moland si adegua a questo suo racconto derivato dal prototipo norvegese, scritto da Kim Fupz Aakeson e qua riadattato da Frank Baldwin, e trascina lo spettatore in mezzo ad uno spettacolo pulp nell’animo ma dalla regia secca e lineare, pregna di momenti assurdi e dialoghi altrettanto incredibili, senza però mai strafare in ognuna di queste direzioni.

Di buono Un uomo tranquillo ha che non sconfina mai troppo da ciò che propone, anche inaspettatamente (Neeson stesso si fa da parte per almeno tre quarti di film), ed in più si rende originale nel suo tocco irriverente, tra commedia e gansgter movie, senza perdere di vista le varie sottotrame (la vendetta di Nels, la lotta tra il clan del “vichingo” e quella dei pellerossa); riesce a dare tutto questo con molta dosatura della satira e del contesto violento del caso, tra un divertente bodycount e l’altro.

Un difetto notevole, però, sta nell’utilizzo di caratterizzazioni femminili molto scarne, che siano la moglie della Dern (la quale esce di scena senza se e senza ma) o la poliziotta Kim di Emmy Rossum (chiedersi come mai sia nella storia è lecito alla fine dei fatti), un dettaglio che in conclusione toglie dei pregi a questo piacevole Un uomo tranquillo, titolo che conferma come il tocco bizzarro e al contempo statico del cinema nordeuropeo sia sempre affascinante quando si tratta di uscire da determinati binari narrativi.

Mirko Lomuscio