Tutti in piedi: recensione

L’handicap nel cinema; se utilizzato bene può essere spunto per trame interessanti e ben calibrate, senza dover far ricorso a patetismi di ogni sorta pur di accattivarsi il favore del pubblico. Rovescio della medaglia, se si vuole, può anche aiutare ad inscenare una commedia graffiante e abbastanza cattivella, sempre senza dover alzare troppo i livelli del divertimento becero.

Un’idea quest’ultima che deve essere venuta all’attore transalpino Franck Dubosc, celebrità in Francia grazie alla trilogia Camping, che esordisce dietro la macchina da presa con questo Tutti in piedi, ovvero una storia d’amore all’ombra della sedia a rotelle.

Il nostro autore si ritaglia in questa sua opera il ruolo di protagonista, interpretando la parte di Jocelyn, un uomo di mezza età seduttore incallito e sempre dedito ai piaceri della vita, cinico nei riguardi del prossimo ed egoista quanto basta verso i suoi familiari.

Ma un giorno sua madre muore e lui si ritrova costretto a dover tornare alla casa della povera donna, in balia ai ricordi della sua esistenza; è proprio qua che fa la conoscenza della vicina di casa, tale Julie (Caroline Anglade), una bella ragazza che però rimane vittima di un equivoco.

Quest’ultima infatti crede che Jocelyn sia un paraplegico sulla sedia a rotelle e l’uomo approfitta del momento per poterla sedurre; ma il gioco si fa duro quando il nostro protagonista fa la conoscenza della sorella di Julie, Florence (Alexandra Lamy), una donna veramente disabile costretta a vivere su una sedia a rotelle.

A questo punto Jocelyn non sa se continuare a bluffare, ma più entra a contatto con Florence più gli sarà difficile dire la verità.

Commedia che si sorregge su questa accattivante idea di raccontare una storia d’amore particolare, Tutti in piedi è un prodotto che gioca bene le sue carte melense e sentimentali, sapendo delineare perfettamente determinati personaggi che costellano l’intera storia (l’amico medico interpretato da Gérard Damon su tutti, il padre ricoperto dal leggendario Claude Brasseur de Il tempo delle mele), calibrati in modo da non risultare eccessivamente ruffiani alla finalità del prodotto.

Che Dubosc regista punti a determinate ambizioni narrative è deducibile sin da subito, forse per questo non azzarda a troppa cattiveria di fondo nel complesso, nonostante non manchino gag che coinvolgono dei disabili (l’incontro tra Jocelyn e gli amici “sportivi” di Florence), ma Tutti in piedi è quella classica storiella sentimentale che molte persone troveranno piacevole, sorvolando su quei piccoli difetti che magari gettano troppa carne al fuoco (determinati personaggi gratuiti come niente fosse, qualche lungaggine nello script) e anche senza far conto al poco appeal di Dubosc come interprete (non ne voglia, ma la sua presenza imbellettata è fin troppo anonima delle volte).

Comunque sia il modo in cui viene gestito il resto dell’operato salva l’intera resa, portando gli spettatori nel mezzo di una pellicola, certo non graffiante come sarebbe dovuta essere, ma almeno fresca e sincera nel suo modo di raccontare un singolare legame sentimentale, non priva di trovate decenti e colpi di scena ben accetti (forse neanche troppo imprevedibili).

Mirko Lomuscio