Tonya: recensione

Commedia drammatica basata su eventi veri i cui protagonisti sanno che vengono derisi, Tonya racconta della carriera catastrofica di Tonya Harding, la celebre pattinatrice il cui epitaffio, grazie ad un unico titolo, è già stato inciso. Potrebbe essere stata vittima di bullismo da parte della madre terrificante LaVona e picchiata da suo marito Jeff, ma sarà sempre ricordata per un attacco al ginocchio della sua vivace rivale Nancy Kerrigan settimane prima dei Giochi del ’94 a Lillehammer.

“Tratto da interviste assolutamente vere, totalmente contraddittorie e prive di qualsiasi ironia con Tonya Harding e Jeff Gillooly”: questo l’incipit del film di Craig Gillespie che sin da subito ci proietta all’interno di un biopic atipico, cinico, audace e che sa giocare con l’idea di verità e di giustizia attraverso “il falso documentale”. La sceneggiatura di Steven Rogers, costruita intorno a due interviste straordinarie e contrastanti fatte da lui stesso a Tonya e al marito Jeff, tramuta saggiamente la storia in un groviglio di narratori inaffidabili, ognuno dei quali recita il loro pezzo direttamente alla telecamera.

Raccontata con grande maestria, in perfetto equilibrio tra emozione e ironia, Tonya ha una struttura narrativa assolutamente non convenzionale che riesce ad essere al tempo stesso rigorosa e avvincente. Molti movimenti di camera, stacchi veloci e una colonna sonora che aiuta a trasmettere il caos e l’euforia della vita della pattinatrice, rendono l’opera fresca, divertente, mai noiosa.

Il punto della struttura mockumentary del film è di avvicinarsi alla caduta della grazia da parte della Harding in molti modi, abbracciando alcuni aspetti sgradevoli con la gioia del tabloid, ma poi invertendo la sua posizione e dandole un giorno in tribunale. La “verità” è relativa e appartiene a chiunque parli, ma gli uomini coinvolti nello scandalo, per questa ricostruzione, sono certamente molto più colpevoli di Tonya.

 

Federica Rizzo

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