Stoner di John Williams: recensione

Nel giugno del 1963 John Williams inviò Stoner al suo agente. Nella lettera di accompagnamento, scrisse che non sarebbe mai diventato un “bestseller” ma con la dovuta comunicazione, sarebbe potuto diventare un “romanzo accademico” e avrebbe potuto dare qualche soddisfazione.

Stoner fu pubblicato nel 1965 e come previsto ebbe recensioni rispettabili e vendite ragionevoli, ma non divenne un best seller e uscì di catalogo.

Per la santa legge secondo cui un buon libro non invecchia, cinquant’anni dopo quella lettera al suo agente, Stoner è diventato un bestseller in tutta Europa. In modo del tutto inaspettato e spinto dal passaparola tra i lettori.

In Italia è stato ripubblicato da Fazi, ed è stato un unanime successo di pubblico e critica.

Stoner (che è il nome del protagonista del romanzo) è figlio di contadini nell’America di inizio Novecento. Del tutto impreparato a ciò che lo aspetta, lascia il lavoro dei campi e si trasferisce in una grande città per studiare. È meraviglioso il modo in cui vengono descritti il suo disagio, la sua timidezza fisica ed emotiva, l’impatto con una realtà tanto distante da sé, a cui decide ostinatamente di adattarsi.

Succedono cose belle nella sua vita, ma sono momenti effimeri. Si laurea, diventa un insegnante, ma si ritrova oggetto di una lotta insensata all’interno del dipartimento. Si sposa, sapendo che non sarà felice. Ha una figlia, per cui alterna slanci autentici, a vuoti enormi di incomunicabilità e distanza. Incontra finalmente l’amore, e si scopre uomo tenero, capace di grande passione, e di grande tenerezza, ma le circostanze gli sono avverse, e ancora una volta subisce la prevalenza del destino.

Stoner è un uomo infelice perché è stato destinato a esserlo. Ma c’è in lui una forza, una determinazione, un coraggio che smuovono qualcosa nel profondo del lettore. La sua vicenda crea empatia totale, si fa il tifo per lui, si corre tra le pagine per esserne parte, per capire e vivere quello che anche lui vive.

Raccontate da una scrittura potente, è uno di quei personaggi che entrano nella storia della letteratura e nel cuore del lettore per sempre.

Poi, sorridendo con aria malevola, si rivolse a Stoner. «Non credere di scappare, amico mio. Ora tocca a te. Chi sei tu, veramente? Un umile figlio della terra, come ti ripeti davanti allo specchio? Oh, no. Anche tu sei uno dei malati: sei il sognatore, il folle in un mondo ancora più folle di lui, il nostro Don Chisciotte del Midwest, che vaga sotto il cielo azzurro senza Sancho Panza. Sei abbastanza intelligente, di certo più del nostro comune amico. Ma in te c’è il segno dell’antica malattia. Tu credi che ci sia qualcosa qui, che va trovato. Nel mondo reale scopriresti subito la verità. Anche tu sei votato al fallimento. Ma anziché combattere il mondo, ti lasceresti masticare e sputare via, per ritrovarti in terra a chiederti cos’è andato storto. Perché ti aspetti sempre che il mondo sia qualcosa che non è, qualcosa che non vuole essere. Sei il maggiolino nel cotone, tu. Il verme nel gambo del fagiolo. La tignola nel grano. Non riusciresti ad affrontarli, a combatterli: perché sei troppo debole, e troppo forte insieme. E non hai un posto al mondo dove andare».


John Edward Williams (1922-1994), nato in Texas da una famiglia contadina, fu in India e Birmania per la seconda guerra mondiale. Trascorse il resto della sua vita Denver, dove insegnò all’Università. Oltre a Stoner scrisse Nulla, solo la notte (1948), Butcher’s Crossing (1960) e Augustus, vincitore del National Book Award.

Eleonora Carta

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