Scrivere è un mestiere pericoloso di Alice Basso

Un gesto, una parola, un’espressione del viso. A Vani bastano piccoli particolari per capire una persona, per comprenderne il modo di pensare. Una dote speciale di cui farebbe volentieri a meno. Perché Vani sta bene solo con sé stessa, tenendo gli altri alla larga. Ama solo i suoi libri, la sua musica e i suoi vestiti inesorabilmente neri. Eppure, questa innata empatia è essenziale per il suo lavoro: Vani è una ghostwriter di una famosa casa editrice. Un mestiere che la costringe a rimanere nell’ombra. Scrive libri al posto di altri autori, imitando alla perfezione il loro stile. Questa volta deve creare un ricettario dalle memorie di un’anziana cuoca. Un’impresa più ardua del solito, quasi impossibile, perché Vani non sa un accidente di cucina, non ha mai preso in mano una padella e non ha la più pallida idea di cosa significhino termini come scalogno o topinambur. C’è una sola persona che può aiutarla: il commissario Berganza, una vecchia conoscenza con la passione per la cucina. Lui sa che Vani parla solo la lingua dei libri. Quella di Simenon, di Vázquez Montalbán, di Rex Stout e dei loro protagonisti amanti del buon cibo. E, tra un riferimento letterario e l’altro, le loro strambe lezioni diventano di giorno in giorno più intriganti. Ma la mente di Vani non è del tutto libera: che le piaccia o no, Riccardo, l’affascinante autore con cui ha avuto una rocambolesca relazione, continua a ripiombarle tra i piedi. Per fortuna una rivelazione inaspettata reclama la sua attenzione: la cuoca di cui sta raccogliendo le memorie confessa un delitto. Un delitto avvenuto anni prima in una delle famiglie più in vista di Torino. Berganza abbandona i fornelli per indagare e ha bisogno di Vani. Ha bisogno del suo dono che le permette di osservare le persone e scoprirne i segreti più nascosti. Eppure la strada che porta alla verità è lunga e tortuosa. A volte la vita assomiglia a un giallo. È piena di falsi indizi. Solo l’intuito di Vani può smascherarli.”

L’ospite dell’Oracolo del tè di oggi è Alice Basso, milanese di nascita ma torinese d’adozione, redattrice, traduttrice e valutatrice di proposte editoriali, e soprattutto autrice dei due successi letterari L’imprevedibile piano della scrittrice senza nome e il recente Scrivere è un mestiere pericoloso, editi in Italia da Garzanti.

Nei suoi romanzi Alice ci racconta la storia di Vani, ghostwriter in una casa editrice dalla voce irriverente e divertente, e di tutti i personaggi che ruotano intorno alle sue rocambolesche vicende, descritte sempre con un pizzico di ironia e acuta intelligenza.

Quale di loro farai sedere al tavolo dell’Oracolo?

Ciao Vale! Be’, direi che al tavolo ci piazziamo Vani, alias Silvana Sarca, la ghostwriter dal carattere di merda protagonista dei miei due libri (e del prossimo che uscirà in primavera, ma diciamolo pianino).

Bene Vani, accomodati!

Il tratto principale del mio carattere.

Il sarcasmo. Lo so io, lo sa il mio capo, lo sanno i miei fidanzati. Be’, ex fidanzati. Non a caso.

La qualità che desidero in un uomo. 

Che ci si possa fare una conversazione decente, porcomondo. E’ una cosa così rara.

La qualità che preferisco in una donna. 

Idem: che ci si possa fare una conversazione decente. Sono una fiera sostenitrice della parità dei sessi: in genere, mi deludono entrambi allo stesso modo.

Quel che apprezzo di più nei miei amici. Okay, non vorrei ripetermi, ma: che con loro si riesca a fare una conversazione decente. Va avanti per molto questo questionario? Perché inizio a intravedere una certa modularità nelle risposte.

Il mio principale difetto.

Be’… quello che è anche il tratto principale del mio carattere, immagino.

La mia occupazione preferita.

Leggere. Che poi è quasi anche la mia unica occupazione, perlomeno quando non scrivo.

Il mio sogno di felicità. 

Leggere. (Sì, potrei definirmi una persona piuttosto realizzata.) Perché la vita vera, diciamocelo, non regge il confronto coi libri quasi mai.

Quale sarebbe, per me, la più grande disgrazia.

Sono indecisa fra “non poter più leggere” e “mia madre e mia sorella che si autoinvitano a casa mia per cena”.

Quel che vorrei essere. 

Don Chisciotte, Cirano di Bergerac, Inigo Montoya. O un gatto domestico a cui nessuno rompe le palle, nemmeno se è solitario e asociale.

Il paese dove vorrei vivere. 

Torino va benissimo, con la sua nebbia e la sua atmosfera severa. E i torinesi sono gente discreta.

Il colore che preferisco. 

Il viola, ma mi vesto sempre di nero.

Il fiore che amo. 

Ma chi? Io? Fiori? Mah. I crisantemi, suppongo. Ma anche i fiori di zucca non sono male, almeno si mangiano. Be’, se me li cucina qualcun altro.

L’uccello che preferisco. 

Okay, seriamente? Dio, e che ne so… Di certo non uno di quei piccioni asfittici che mi ritrovo sempre sul davanzale, a peggiorare ulteriormente il già critico panorama di Torino nord.

I miei autori preferiti in prosa. 

Quante righe ho? Va bene, va bene. Seleziono. Raymond Chandler e John Fante.

I miei poeti preferiti. 

Dylan Thomas e John Milton. Ma, perlopiù, la poesia non è roba per me.

I miei eroi nella finzione. 

Cirano di Bergerac, Don Chisciotte, Calvin&Hobbes… E Philip Marlowe, naturalmente, che somiglia tanto al mio inseparabile amico, il commissario Berganza.

Le mie eroine preferite nella finzione. 

Rossella O’Hara e Amy March. Perché sono due stronze materialiste che almeno, in un mondo di sciacquette palpitanti, sanno cosa vogliono.

I miei compositori preferiti. 

Morrissey, Tom Waits, Leonard Cohen, Jagger e Richards, e ogni tanto, ma solo quando mi sento vulnerabile e non voglio che nessuno lo sappia, un pochino di Tori Amos.

I miei pittori preferiti. 

Caravaggio. Con quei neri che mi ricordano il mio guardaroba. Toulouse-Lautrec, cinico e indifeso. E Bosch e Goya, che sembra vedano le cose attraverso i miei occhi.

I miei eroi nella vita reale. 

Siamo tutti troppo umani per poterci permettere di diventare eroi. Ma, be’, se proprio dovessi dirvi qualcuno che stimo davvero, forse direi il mio amico, il commissario Berganza. Per favore, non scrivetelo. Sono già in imbarazzo per avervelo detto.

Le mie eroine nella storia. 

Non credo abbiano nome. Tutte quelle popolane di cui nessuno ha mai scritto una biografia, che sono campate e hanno fatto campare la gente intorno a loro in tempi bui nei quali se trapiantassero noi oggi creperemmo di stenti dopo mezza giornata.

I miei nomi preferiti. 

La mia migliore amica si chiama Morgana. Penso debba essere bellissimo chiamarsi così. Molto meglio che Cassandra, che… be’, sì, è il mio secondo, sfigatissimo nome.

Quel che detesto più di tutto. 

Che la gente mi rompa le palle. E questo lo dico a colpo sicuro.

I personaggi storici che disprezzo di più. 

Gli avidi e i gretti, quelli disposti a grandi tradimenti e infime bassezze per un minimo miglioramento del loro status sociale. Infatti se la domanda fosse stata all’inverso, i personaggi storici che preferisco, forse avrei detto Cincinnato, l’unico uomo della storia ad aver rinunciato al potere.

L’impresa militare che ammiro di più. 

Quelle garibaldine e le Cinque Giornate di Milano. Adoro quando della gente a cui nessuno darebbe una lira sbalordisce eserciti.

La riforma che apprezzo di più. 

Immagino che valgano anche leggi e ordinamenti in senso generale, giusto? Allora dico l’istruzione obbligatoria.

Il dono di natura che vorrei avere. 

Saper capire quello che provo e che voglio con la stessa lucidità con cui, per il mio mestiere di ghostwriter, so entrare nella testa degli altri.

Come vorrei morire. 

Senza nessuno che mi rompesse le palle. Magari, con qualcuno che mi raccontasse una storia. Una bella, però. Non voglio mica buttare nel cesso i miei ultimi minuti sulla Terra con una storia brutta.

Stato attuale del mio animo. 

Perplesso e vagamente diffidente. Voglio dire, a chi diavolo può interessare intervistare me?!

Le colpe che mi ispirano maggiore indulgenza.

Quelle commesse per fame, o per la fame di chi si ama. Guarda tu che razza di lavoro mercenario faccio io per portare a casa la pagnotta, per dire.

Il mio motto. 

Lo prendo in prestito da Katharine Hepburn: “Soddisfa te stessa, e almeno una persona sarà felice”.

Grazie per aver accettato l’invito dell’Oracolo del tè!

Grazie a voi… Ma, sul serio: a chi diavolo può interessare una mia intervista?!

 

Abbinamento goloso: per gustare al meglio la storia di Vani e la sua divertente intervista vi suggerisco un calice di bollicine e croccanti mandorle e anacardi tostati e salati. Credetemi, non ve ne pentirete!

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Valentina Cebeni

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