Remothered: Tormented Fathers – intervista esclusiva a Chris Darril

Buongiorno, nostri affezionati lettori, siamo riusciti finalmente a intervistare il creatore di Remothered: Tormented Fathers, videogioco indie italiano a cui abbiamo già dedicato un focus e una recensione, oltre che alcune news. Vediamo che sorprese ci riserva! Vi ricordiamo che il creatore di Silent Hill parrebbe intenzionato a collaborare con Chris Darril.
 
Ciao Chris, parlaci di te e della tua passione videoludica…
 
Innanzitutto è un vero piacere poter rispondere alle vostre domande, vi seguo sempre con infinito piacere. La mia passione videoludica è probabilmente innata. Non dico di essere nato con un joypad in mano, ma sicuramente ci avviciniamo (ride). Indubbiamente la cosa è stata, volenti o nolenti, ereditata dai miei due fratelli maggiori, così, quale terzo ed ultimo figlio di tutta una triade, mi sono ritrovato sin da bambino a vederli giocare al Nintendo, all’Amiga o perfino col Commodore e a bramare di fare altrettanto. Il gesto di provare ed imparare è stato pressoché automatico, così come la mia passione che, e ci tengo a sottolinearlo, è nata e cresciuta di pari passo con quella per il cinema.
 
Cosa ti ha spinto a creare Remothered? Qual è stato lo sviluppo dal 2008 al 2018? 
 
L’amore per un genere che, specie in quella delicatissima era videoludica (2008-2010, fino al lancio di Amnesia: The Dark Descent) ha visto il genere virare sull’action “cacionaro” a discapito di titoli che invece improntavano i loro temi su strutture narrative decisamente portanti ed una componente “survival” a dir poco estremizzata. Era il periodo di Dead Space, Condemned 2, Left 4 Dead, Silent Hill: Homecoming, così io, come molti altri videogiocatori, mi sentii un po’ orfano di quei titoli che avevano quantomeno cercato di distinguersi ed elevare il concetto di sopravvivenza a discapito dell’orrore blando e goliardico, meramente solo ed esclusivamente visivo, imponendoci scontri armati all’ultima goccia di sangue. Mi riferivo a titoli che avrebbero potuto, e qualcuno l’ha anche fatto, consacrare il genere e solidificare le basi di un’etichetta prominente come quella di, come la parola stessa ci insegna, “survival horror”, ovvero orrore di sopravvivenza, magari autentico. Titoli, oggi riconosciuti come capolavori, osannati sia da critica e pubblico, magari anche in “leggerissimo” ritardo, come Silent Hill 2, Forbidden Siren, Clock Tower, Haunting Ground, Project Zero e via dicendo. Remothered fu l’idea di un comune ragazzo di rendere omaggio e contribuire a quel genere da tempo bistrattato (almeno dal 2004), con rarissime e trascuratissime eccezioni. L’idea di attualizzare un Clock Tower con una componente cinematografica forte e una trama alla Silent Hill, comunque con riferimenti alla cinematografia che, a mio modesto parere, si è distinta nel genere. Nato come semplice concept, un’idea appena abbozzata su carta, cominciai a svilupparlo solo l’anno successivo, nel 2009, adoperando il software Rpg Maker XP. Dalle preview, ottenne un inaspettato successo, compresi il potenziali di quel diamante grezzo, di quel prezioso gioiello che avrebbe potuto essere e diventare. Insistetti ancora per un anno o due finché non decisi di sospendere lo sviluppo della versione preliminare in 2d, nonostante il pubblico avesse già apprezzato quanto visto. Dopo alcune trattative e proposte di collaborazioni e cessione dei diritti rifiutate, la vera svolta è avvenuta nel 2016 quando con gli amici e soci di Darril Arts, dopo alcune esperienze che mi hanno certamente forgiato, è nata una partnership col team Stormind Games e lo sviluppo, come il Remothered che oggi finalmente conosciamo, ha iniziato a prendere forma. Conclusosi, a conti fatti, il novembre del 2017 ma, se però consideriamo i tempi delle autorizzazioni e debugging per il lancio sulle piattaforme console (PS4 ed Xbox One), possiamo consideralo protrattosi fino a primi mesi del 2018, poco dopo il lancio della versione PC (30 gennaio 2018).
 
Ci sono già idee in pentola per i sequel della trilogia? 
 
Le idee sono chiarissime. Lo sviluppo del secondo capitolo oltretutto è, e posso serenamente confermarlo, già iniziato e procede a vele spiegate, mentre ci prepariamo per una nuova imminente sorpresa. Purtroppo non posso dire altro.
 
Quali difficoltà ha affrontato nella realizzazione del tuo progetto?
 
Remothered: Tormented Fathers è sempre stata la mia prima vera “regia”, la più complessa. La prima vera difficoltà, e forse la sola, è stata fare i conti con la mia stessa persona portandomi, non solo a responsabilizzarmi, ma anche a rimodulare il mio carattere nel rapportarmi al team, nel forgiarmi non solo in qualità di game e creative director, ed artista/artigiano se vogliamo, ma anche come persona, come adulto.
 
Che mutamenti hanno subito i personaggi dal 2008 ad oggi? 
 
Jennifer, Rosemary, Red Nun e qualche altro personaggio, bisogna che lo dica, si sono mantenuti piuttosto coerenti alla loro originale forma. Qualcun altro invece, come ben saprai, in particolar Richard Felton, Madame Svenska e diversi altri, hanno subito dei riadattamenti anche mirati a mantenere una coerenza artistica e stilistica, riducendo all’osso i cliché del genere seppur facendosi più intriganti agli occhi di un pubblico che comunque è continuamente soggetto a cambiamenti.
 
Come trovi la situazione videoludica italiana? 
 
Sta crescendo, fra alti e bassi e l’ancora scarsa considerazione dello stato. Una professione malamente etichettata come hobby o semplice professione di ripiego. Possibilità di fondi inesistenti e tassazioni alle stelle. Molte piccole e grandi aziende stanno facendo lo sforzo immane di farsi le ossa per i game designer e le software house di domani, stanno facendo tutto quello che è in loro potere, noi come loro. Purtroppo in un paese in cui tante altre cose non vanno: dalla politica alla cultura e l’economia, fino all’istruzione e ai media, non ci si può aspettare che proprio quell’ambito, da sempre fra i più bistrattati nel Bel Paese, possa generare particolari risultati di spicco. “Eppur si muove!”, tanto per citare le (mai)  pronunciate parole di Galileo Galilei.
 
Secondo te un videogioco potrebbe essere anche una forma di narrazione interattiva? 
 
Il videogioco è una forma di narrazione interattiva e, se il ragionamento mi è di supporto, poiché i videogiochi sono i diretti figli della cinematografia e l’incontro dell’interazione attiva, e la cinematografia altri non è che un esempio puro di narrazione multisensoriale, il videogioco è esso stesso un fulgido esempio di narrazione multisensoriale che diviene interattiva.
 
Ringraziandovi per il tempo e lo spazio concessomi, ne approfitto per augurarvi un buon proseguimento di giornata e un grandissimo in bocca al lupo per il futuro.
Un grosso saluto a tutti.

 

Debora Parisi

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