Ecco un nuovo racconto scritto da Samanta Crespi. L’ambientazione è albanese.
Buona lettura!
Aghissa camminava nervosamente avanti e indietro sul palco, facendo scricchiolare le vecchie assi di letto sotto i suoi passi leggeri.
“Perché sei venuto a vedermi?” Sbottò senza minimamente guardare in direzione del proprio interlocutore.
“Potrei farti la stessa domanda”, rispose di rimando lui, agitando nervosamente l’accendino, nel tentativo di ‘pizzarsi’ una sigaretta.
“Non si può fumare qui Joshan, in teatro è proibito, non li leggi i cartelli di divieto?”, lo riprese lei, sarcasticamente.
“Il fatto che ci siano non vuol dire che debbano per forza essere rispettati… e poi quante storie per un po’ di tabacco!”, disse lui, soffiando una nuvola di nicotina proprio verso la giovane, che se ne stava lì in piedi a fissarlo, con lo sguardo di rimprovero e le esili braccia conserte.
“Odio il fumo, e lo sai…”, gli ricordò lei, mentre lui, da bravo frontman consumato, teneva la sigaretta perfettamente in equilibrio all’angolo della bocca.
“Beh alle mie fan piace, dicono che mi da un tocco in più, da bello e dannato insomma…”, ammise Joshan, spostandosi distrattamente i corti capelli castani dalla fronte.
“Non capisco cosa ci trovano in te…” sbuffò lei, sedendosi a bordo palco, lasciando penzolare, con grazia, le lunghe e atletiche gambe, fasciate in sottili calze rosate e decorate dai lacci delle scarpette da ballerina.
“Lo stesso che ci trovavi tu due anni fa’, amore…”. Sul volto del ragazzo compare un mezzo sorriso malizioso, ed irresistibilmente sexy, ma Aghissa non sembrò impressionata anzi, per tutta risposta, lo guardò ancora più stizzita.
“Vuoi dire, prima che tu mi tradissi con una volgare sciacquetta, una di quelle tante oche che, ad ogni assolo della tua chitarra, vanno in brodo di giuggiole?” Chiese lei, ancora più tagliente.
“Brodo di che?” Domandò Joshan, per punzecchiarla un po’.
Dio se gli piaceva farlo, loro due erano sempre stati come cane e gatto, acqua e fuoco, ma come coppia avevano fatto scintille, almeno finché lui non era stato così coglione da finire a letto con una ragazza qualunque, di cui il mattino dopo, fatto com’era, aveva persino scordato persino il nome.
“Lascia perdere. Con te è fiato sprecato!” Aghissa agitò la mano con noncuranza, fissando lo schermo del proprio cellulare con impazienza.
“Aspetti qualcuno?” Chiese Joshan, notando il disagio di lei nel rimanere bloccata in quel vecchio teatro, proprio con lui.
“Non aspetto nessuno, cioè sì… spero che il custode arrivi presto a liberarci… Ho delle cose migliori da fare, che star qui a rinvangare il passato con te”. Mentì lei, che in realtà non aveva nessuna incombenza da portare a termine, ne tantomeno nessuno ad aspettarla a casa, tranne il suo gatto tigrato di nome Erion.
“Ed io che pensavo ti avrebbe fatto piacere avermi tra il pubblico per la tua prova generale…” disse lui, fingendosi offeso, mentre spegneva col piede quello che restava della sigaretta, lasciando il mozzicone in bella vista sul pavimento accanto alle prima fila di poltrone rivestite di velluto rosso.
“Il teatro Migjeni, per questo balletto ha registrato il tutto esaurito, anche senza la tua altisonante presenza, se è per questo…” Sottolineò lei caustica, non volendo dare al suo ex fidanzato, nessuna soddisfazione.
“Vuoi dire che non ti sono mancato? Che il tuo cuore da ballerina non ha sussultato nel vedermi tra il pubblico?” Chiese lui, provocandola, mentre le si avvicinava con passi misurati e lo sguardo da seduttore consumato.
“No, in realtà non mi sei mancato affatto, ma già che siamo in argomento, perché sei venuto qui stasera?” Chiese la giovane dagli occhi di ghiaccio e il viso cesellato, impreziosito dai capelli biondi raccolti in un elegante chignon.
“Volevo rivederti, assaporare di nuovo quella magia che fai quando danzi… la grazia che metti nei tuoi passi fa sembrare lo sbattere d’ali delle farfalle una cosa grossolana e goffa.
“Non adularmi Jos… non ci casco più…” C’era del rammarico nella voce di Aghissa, ma il chitarrista fece finta di non averne colto il senso.
“Eppure l’altra sera ti ho visto al nostro concerto, non posso sbagliarmi, riconoscerei la tua figura tra mille. Perché eri là?” Chiese lui sperando in una risposta di lei, che non fosse così ermetica come le precedenti.
“Ho solo accompagnato Dite, lei ci teneva tanto ad andarci, mi ha preso per sfinimento. Ti vuole bene e, sotto sotto, nutre ancora l’illusione che noi due torneremo presto insieme”. Aghissa sospirò, mentre ripensava all’insistenza con la quale sua sorella minore, Aphrodite, l’aveva tampinata per più di un mese, nel tentativo di convincerla ad andare alla serata del gruppo di Joshan. Alla fine la ballerina era stata costretta a cedere, e, indossando la sua migliore maschera d’indifferenza, aveva scarrozzato sua sorella quindicenne, per le vie buie, e semi deserte della cittadina di Scutari (Shkodra per gli albanesi), alla ricerca del locale dove si sarebbe esibito Joshan, con la sua musica strana, un genere a metà tra il rock e il folk.
“E tu cosa pensi?” Chiese il ragazzo, guardandola dritta negli occhi, facendo scontrare le sue iridi scure con quelle limpide e chiare di lei.
“Io non penso niente Jos. Il nostro tempo lo abbiamo avuto, abbiamo fatto degli sbagli, non credi sia il caso di voltare pagina?” Aghissa si torse le mani, segno che era nervosa, ma il musicista non riusciva a decifrarne del tutto il motivo. Non sapeva se la causa della sua agitazione fosse lui, oppure il fatto che erano rimasti inavvertitamente chiusi dentro il vecchio teatro, dal custode.
“Non se il capitolo che ci aspetta non è bello come il precedente…mia pilivesë[1]”. Disse dolcemente il ragazzo, mentre le sfiorava una mano, nel tentativo di rompere quella spessa coltre di ghiaccio e rancore che lei aveva eretto fra loro.
“Joshan smettila, ti prego” lo implorò lei, togliendo la mano da sotto la sua, e fissando altrove lo sguardo, per non dover incontrare ancora gli occhi di lui, così scuri e malinconici.
“Tu mi piaci ancora Ghissa, non ho mai smesso di pensarti, e di darmi del cretino ogni sera negli ultimi due anni, puoi provare a perdonarmi?” Domandò lui, e sembrava talmente sincero, che lei quasi quasi gli credette.
“Oh avanti, come se non sapessi che hai un porto in ogni città europea delle tue tournée, chi bionda, chi mora, chi rossa, che importa? È solo un gioco per te? Basta sedurre no?” L’elise, ma tonico corpo di Aghissa fu scosso da un tremito, ma non pianse, imponendosi di tenere incastrate le lacrime tra gli occhi e il cuore, troppe ne aveva già versate, ballando, per quel ragazzo ribelle e maledettamente intrigante.
“Sai… dal giorno in cui mi hai scoperto a letto con “quella”, non sono più riuscito a dimenticare il tuo sguardo ferito, il silenzio micidiale con cui mi hai chiuso fuori dalla tua vita, è stato qualcosa a cui ho pensato e ripensato, per quasi due anni” Confessò Joshan, mentre con una mano si tormentava la corta barba che gli incorniciava il viso.
“E quindi?” Domandò lei, apatica.
“E quindi, niente è più stato lo stesso. Di colpo quelle donne ammiccanti non mi interessavano più”. Joshan si mise a camminare avanti e indietro, quell’ammissione lo rendeva elettrico e nervoso come poche altre cose. Era bravo con la chitarra e gli accordi, un po’ meno con le parole e i sentimenti.
“Ho capito che volevo solo te, volevo riaverti nella mia vita, volevo di nuovo le tue risate, i tuoi allenamenti assurdi, la tua dieta aliena, il modo in cui mi accarezzavi la testa, dopo che avevamo fatto l’amore, ecco perché sono qui stasera”. Disse lui tutto d’un fiato, mentre lei lo fissava, confusa, restando ancora seduta sul bordo del palco, con le gambe intrecciate.
Il musicista dall’aria vissuta, si fece un po’ impacciato, quando, tirando fuori un piccolo scatolino dalla tasca della sua camicia hippy a quadri, si inginocchiò con solennità davanti alla ballerina di danza classica.
“Aghissa, io ti amo, e voglio solo te…” Disse lui, facendo una piccola pausa, per guardarla negli occhi “Mi vuoi sposare?” Chiese alla fine, quasi in un sussurro.
Una voce sgradevole ed una torcia, illuminarono i due ragazzi, proprio sul più bello, lasciando Joshan senza una risposta.
“Ehi voi, tutto bene? Sono il custode, sono stato avvertito che eravate rimasti bloccati qui…” disse l’uomo dalla voce atona, e sgradevole.
“Tempismo perfetto” Ringhiò quasi Joshan, era stato interrotto sul più bello, su un quesito di vitale importanza.
“Siamo qui, Bledir, siamo qui!” Gridò Aghissa, agitando una mano e sgusciando via, con rapidi passi, dal palco, e dal campo visivo di Joshan.
“Ehi! Aghissa! Non mi hai risposto!” Gridò lui, mentre la ragazza, agile e veloce come un soffio di vento, si era già infilata il cappotto, ed era già all’ uscita del teatro, scortata sottobraccio dalla guardia.
“Se verrai alla prima dello spettacolo di domani lo saprai…” disse lei, alzando la voce, per farsi sentire.
“Non fare tardi, la luna non aspetta” Disse lei, per poi scomparire nella fredda notte della città.
“Non mancherò…” assicurò lui, con voce sicura, ma quella sua risposta non fu udita da Aghissa, e si perse nell’ampio spazio del teatro ormai vuoto e silente. Il chitarrista sorrise, mise via l’anello di fidanzamento, e si accese l’ultima sigaretta di quella sera, godendosene ogni boccata, aspirando ed espirando lentamente, quasi certo che lei l’indomani gli avrebbe detto “sì”.
[1] libellula in albanese.
Samanta Crespi
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