Peter Rabbit: recensione

Direttamente dagli scritti di Beatrix Potter, ecco spuntare sugli schermi anche un lungometraggio dedicato interamente al personaggio immaginario di Peter Rabbit, coniglio pestifero e sempre pronto a far baldoria con i suoi amici di campagna, che ora trova un suo spazio necessario anche nel firmamento cinematografico, grazie al supporto di una CGI che possa ricrearne fattezze e gesta con credibile resa.

Produzione angloamericana, il film è un trattato visivo che cerca di miscelare live action con creature digitali, supportando così un racconto che possa risultare come fosse un cartoon interpretato anche da attori in carne ed ossa; attori che in questo caso vengono rappresentati innanzitutto dalla Rose Byrne di Cattivi vicini e dal Domnhall Gleeson della nuova trilogia Star Wars, mentre a dare voce, in lingua originale, agli innumerevoli personaggi animaleschi creati digitalmente troviamo innanzitutto James Corden, che dà corde vocali al coniglio del titolo (in italiano è Nicola Savino ad occuparsene), più altre celebrità come Margot Robbie, Daisy Ridley, Rachel Ward, Bryan Brown, Elizabeth Debicki e David Wenham.

Guest star irriconoscibile, sotto un trucco che lo invecchia più del dovuto, il Sam Neill di Jurassic Park e Il seme della follia; regia di Peter Rabbit affidata all’esperto in materia leggera Will Gluck, autore di pellicole come Easy girl, Amici di letto e Annie – La felicità è contagiosa.

La storia prende avvio in una campagna inglese, dove qui vive un vecchio fattore di nome McGregor (Neill), un uomo che tiene alla sua terra e la coltiva di ogni ortaggio o frutta possibile.

Unico problema sono i conigli che abitano non poco distanti da lui, appartenenti alla vicina di casa Bea (Byrne), un gruppo di roditori capitanati da un leader deciso e sbruffone, abbigliato di un giacchetto di jeans, di nome Peter Rabbit.

La lotta tra quest’ultimo e il vecchio McGregor va avanti ormai da anni, sino a quando l’uomo improvvisamente non ci lascia le penne, causa un improvviso infarto.

Ora tutto può andare per il meglio per Peter, ma la casa del vecchio fattore, che sembrava ormai disabitata, viene ereditata da Thomas McGregor (Gleeson), nipote dell’ex padrone, il cui amore per gli animali di campagna è pari a zero.

Nonostante il ragazzo provi qualcosa per Bea, la voglia di eliminare assolutamente i parassiti che hanno intenzione di invadere la sua abitazione è sempre più forte, ma nessun umano può mettere i bastoni tra le ruote di Peter Rabbit.

Cosa che ormai si nota bene anche nel campo dell’animazione, il cinema per ragazzi si sta facendo sempre più adulto, questo soprattutto tramite una certa ironia che vorrebbe rendersi molto più audace di quello che potrebbe permettere un film del genere; con Peter Rabbit il regista Gluck getta subito le premesse, sbeffeggiando un’apertura che strizza l’occhio al cinema Disney più classico (con uccellini canterini interrotti durante una performance) e porta la storia verso la sua bizzarra esile trama, fatta di continue ripicche tra il protagonista coniglio (realizzato in una perfetta CGI) e i comprimari umani, con un Gleeson che sta al gioco, quale vessato della situazione, con abbastanza convinzione.

Per questo Peter Rabbit è il caso di dire che è stata creata appositamente una risata graffiante per bambini, sul british style, ma che non manca di mettere in mezzo doppi sensi e umorismo becero, espedienti che potrebbero far la gioia di un pubblico più grande, solo che, con tutta sincerità, non vuole rispecchiare assolutamente il materiale d’origine creato dalla Potter.

Un rischio e pericolo che il regista Gluck sente di affrontare e di cui, in fondo in fondo, non ce n’era così tanto bisogno, nonostante ritmo e intrattenimento non mancano.

Mirko Lomuscio