Paradox: recensione

Credo che nella vita molto spesso le cose non vadano come avevamo previsto, è così, anche se una persona si fissa degli obiettivi, poi per una qualche ragione non riesce a raggiungerli.

Questo è quello che è successo a me, alla prese con la lettura del libro di Adriana Moccia Paradox.

Ero partita con le migliori intenzioni, come sempre faccio quando mi si chiede di leggere un testo per poi recensirlo. Nel caso di Paradox, un romanzo che dovrebbe essere un fantasy dai toni dark, non sono riuscita a terminarne la lettura. Mi sono fermata dopo le prime settanta pagine circa, poiché non ho trovato nulla che potesse incuriosirmi.

Da un romanzo con un titolo così accattivante, uno si aspetta che la trama lo sia altrettanto, e non che dopo quasi un quinto del libro tutto sia fermo ai due tre eventi che capitano alla protagonista, ovvero il suo trasferimento da uno stato all’altro, e il conseguente cambio di vita e di scuola.

È vero che Amanda nel libro ha solo diciassette anni, ma non si può limitare tutto il suo universo emotivo ad una depressione immotivata e a manie di persecuzione. Amanda non parla con le cugine Jessica e Brianna, figlie dello zio italiano Vincent Romano, da cui si è dovuta trasferita, perché sostiene che loro la odino, a causa di rivalità tra le rispettive madri.

Le due ragazze vanno a scuola in auto, mentre Amanda in autobus, come fosse un disonore, le cugine le fanno i dispetti, la scherniscono. Ecco qui una versione, non proprio originalissima di una “Cenerentola” moderna con le sorellastre cattive e invidiose. Solo che la protagonista non ispira altrettanta simpatia della principessa della fiaba Disney.

Un altro punto dolente, dal mio punto di vista per quanto riguarda la trama, oltre al fatto che per molti capitoli non accade nulla, è che tutto quello che fa Amanda, è descritto come fosse una lista della spesa, senza un minimo di introspezione. Questo penalizza molto chi legge e vorrebbe magari rispecchiarsi nel personaggio, ma non riesce, perché oltre all’uso, non proprio felice, della prima persona, si trova a che fare con una superficialità e un vittimismo disarmante. Amanda crede che tutto sia contro di lei, che tutto debba andar male e per questo fa anche uso di tranquillanti, oltre anche a non mangiare quasi mai per durante i primi capitoli, gettando il cibo nella spazzatura. Se questo voleva essere un tentativo di tratteggiare un’adolescente credibile, direi che è miseramente fallito. La protagonista mi risultava a tratti persino antipatica.

L’autrice poteva sforzarsi di dare un minimo di consapevolezza a questa ragazza, che a tratti sembra che viva la propria vita come se non ci fosse realmente dentro.

Per quanto riguarda il lato prettamente “fantasy”, che dire? So solo che, in poco meno di un centinaio di pagine, compare una misteriosa ombra, o entità, che segue da vicino la nuova arrivata, sia a scuola, che a casa. Da aggiungere a ciò, un losco figuro che la spia e la pedina a bordo di una macchina scura e non si sa chi sia…

Ecco mi sembra un po’ poco per invogliare il lettore a proseguire, forse sarebbe stato meglio ridurre di un terzo tutta parte iniziale del passato di Amanda e del trasferimento oltre oceano, per dare più spazio agli indizi soprannaturali, o magici, e alla caratterizzazione dei vari personaggi, soprattutto i ragazzi/e, che sembrano più delle caricature, che dei veri adolescenti, con problemi da adolescenti.

Venendo allo stile, devo dire che mi ha creato non pochi grattacapi, ed è il motivo principale per cui non ho terminato di leggere questo romanzo. Intanto, non amo alla follia l’uso della prima persona, soprattutto in un testo così lungo. Scrivere in prima persona, dovrebbe servire per aiutare l’immedesimazione, per rendere gli eventi più “vicini” a chi legge. Qui accade proprio il contrario, per tutto il tempo ho avuto la sensazione di essere molto distante da ciò che veniva detto nel libro, credo che sia perché scrivere in prima persona, può essere un’arma a doppio taglio, può far sembrare sensazionale qualcosa, oppure rovinare tutto.

Infine credo che manchi un corretto lavoro di editing. Nel testo ho trovato parecchi errori, termini desueti, punteggiatura errata e frasi senza senso. Cito solo due esempi, per far capire quanto la lettura procedesse a singhiozzo per via di queste criticità:

“Cominciai subito a imparare le più belle opere di musica classica. I complimenti che ricevevo, però, non esaltavano le mie capacità dimostrative, poiché dopo lo shock per la scomparsa di mio padre, avevo ricominciato a parlare, ma tendevo ancora a restare chiusa in me stessa…”.

Non si capisce bene cosa vuol dire “esaltare le capacità dimostrative”, l’autrice forse voleva dire “comunicative”?

In un altro punto scrive:

“Caddi sulle ginocchia e iniziai a piangere. Le lacrime scorsero a fiumi. Sentivo appagare il desiderio di sfogare la collera che reprimevo da fin troppo, ma più piangevo, più la necessità di continuare aumentava…”.

Questa frase secondo me, non ha senso ed è scritta in maniera ingarbugliata, tutto ciò svia il lettore dalle effettive sensazioni provate della protagonista, il pianto, la paura e la rabbia.

Tutto il testo, o almeno la parte che ho letto io, è farcito di frasi che non funzionano e termini arcaici o inadatti, come ad esempio:

“immensurabile”, al posto del più immediato “incommensurabile”; oppure “ampliarsi” riferito ad un sentimento come l’odio, che con il tempo sarebbe più corretto dire che si “amplifichi”, non si “ampli”, rende meglio l’idea di qualcosa che di emotivo che “cresce”.

In conclusione, consiglierei all’autrice di rivedere da capo tutto il romanzo. Non dovrei dare un giudizio parziale su un’opera letteraria senza averne concluso la lettura, ma se lo scritto è talmente traballante da non consentire una fluida comprensione, e la trama non invoglia a proseguire oltre le cento pagine, allora la scrittrice dovrebbe domandarsi cosa non funziona, e cosa  può fare in merito, per migliorarsi.

Per quanto mi riguarda, come lettrice di fantasy, un romanzo che si voglia definir tale, deve tenermi incollata alle pagine fin da subito, mi deve coinvolgere, trascinare in un mondo “altro”. Questo con Paradox non accade, anzi la tentazione è quella di chiudere il libro e “dimenticarsene” in fretta. Mi dispiace, ma non lo consiglierei di certo a chi cerca un buon intrattenimento.

 

Samanta Crespi

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