Missing: recensione

Da una costola del thriller Searching di Aneesh Chaganty, titolo del 2018 che tramite la sola visualizzazione di monitor, martphone, pc e altre cose simili riusciva ad inscenare una trama fitta di tensione e di mistero, con al centro la storia di un padre alla ricerca della propria figlia scomparsa, ecco uscire ora questo Missing, un lungometraggio che, sfruttando le medesime basi narrative del primo film citato, ci porta nuovamente in mezzo ad un altro scottante caso di smarrimento.

Con al timone di regia l’accoppiata esordiente Will Merrick/Nicholas D. Johnson, che di Searching hanno curato fotografia e montaggio, questo nuovo thriller 2.0 ha per protagonista l’adolescente June (Storm Reid), la quale, dopo la scomparsa del padre James (Tim Griffin) avvenuta in tenera età, vive ora con la madre Grace (Nia Long), cercando di ricostruire i pezzi di un’esistenza tormentata dal dolore e dalla perdita di ciò che le era più caro.

Ma Grace, che tenta il tutto e per tutto per solidificare il burrascoso rapporto con la propria figlia, un giorno sparisce nel nulla; dopo essere andata in viaggio in Sud America con l’attuale compagno Kevin (Ken Leong), la donna non torna a casa e non dà più tracce di se stessa.

Sola e alle prese con una fitta corsa contro il tempo, June decide di rimboccarsi le maniche e di trovare la verità, e lo fa navigando in internet con l’intenzione di scovare quanti più indizi possibili, andando così incontro a sconcertanti rivelazioni che mai avrebbe pensato di far riemergere.

Aprendo le danze con una la ricostruzione di un programma crime incentrato sui fatti avvenuti in Searching, l’opera del duo Johnson/Merrick si accoda da subito allo stile narrativo di quel lungometraggio datato 2018 e intende trascinare lo spettatore tra i pixel del monitor di un pc (o di uno smarthphone, o di uno smartwatch, e così via) con la finalità di raccontare una trama thriller che si rispetti.

L’intenzione potrebbe anche essere notevole, non fosse che ormai questo tipo di idea ha fatto già il suo corso ed è stata sfruttata bellamente (basta pensare al dittico horror Unfriended per dirne una), e Missing, che si sorregge su una trama ad alta tensione da film televisivo del sabato sera, non sembra avere granché fine di esistere, mostrando i medesimi (pochi) pregi e (parecchi) difetti del suo predecessore diretto da Chaganty.

Come là, anche qua , tra un’indagine e l’altra, tra ricerche passworld e violazioni della privacy, la cosa che più salta allo sguardo dello spettatore comune è la presenza dei vari brand multimediali, sbattuti un tot al minuto quasi come fosse un mega spot pubblicitario, ed il che non fa altro che limitare la creatività che c’è dietro la storia di Missing, rendendo lo svolgimento dello script, steso dai registi stessi, ricco di improbabilità narrative, come il colpo di scena finale che ha la pecca, non solo di essere poco credibile, ma di essere curato ai minimi termini (e pensare che June arrivi con internet dove la polizia non riesce è una insostenibile forzatura).

Si può anche pensare che questo tipo di linguaggio filmico possa rappresentare un determinato futuro del cinema, ma utilizzato come in Missing mai potrà occupare tutta la narrativa cinematografica, perché osservare una trama sui soli monitor non fa latro che limitare ogni possibilità di immaginazione, come anche limitare di tanto i risultati di un qualsiasi lungometraggio.

E sia il film di Johnson e Merrick che il predecessore Searching sono una mediocre prova artistica di questo deleterio modo di agire.

Mirko Lomuscio