Mexican Taxi: intervista esclusiva a Francesco Spano

Francesco Spano è laureato in Scienze della Comunicazione e dal 2009 vive in Messico, a Monterrey, dove ha conseguito un master in Scienze Sociali e insegna Italiano.

Finalista al concorso Primavera in arte col racconto Proesia, menzione speciale con Lettera a John Fante al concorso Lettera d’amore, il racconto Luci di poesia in Messico fa parte dell’antologia Desiderio, Giulio Perrone Editore. Premio della critica con Fortuna da 19 pesos al concorso L’isola dei versi.

Per la collana Oceania di Antonio Tombolini Editore ha pubblicato un libro di racconti intitolato Mexican Taxi, popolato da personaggi variegati e scenari di periferia, ove gli emarginati urlano le proprie storie senza falsi moralismi.

C’è una famiglia congolese che prega prima della cena nelle banlieue parigine. A Ciudad Juarez, c’è un bambino dalla testa enorme che grida che ama le tette grandi. All’Hotel Angeles c’è un deportato messicano che racconta la sua storia scolando birra e ruminando come una vacca. C’è persino Crack, un cane zoppo come il suo padrone, che cammina lungo il Guadalquivir. E poi una serie di tassisti messicani diabetici, alcolizzati, tossici e pseudointellettuali che parlano senza sosta a un italiano che a volte li ascolta e altre li ignora, stretto nella morsa di un incubo a quaranta gradi, senz’aria condizionata, in un paese dove si vive troppo e si muore facile.

E se la trama vi ha incuriosito, non vi resta che leggere l’intervista qui sotto per saperne di più.

Ha carta bianca e tre aggettivi per descriversi…

Testardo, spericolato, altruista.

Mai senza?

Decisioni da prendere. Dubbi da scartare come caramelle. Un libro, un pacchetto di sigarette e una macchina col motore acceso  su una strada nel deserto.

Cosa le piace leggere?

Di tutto, ma se proprio devo scegliere, scelgo la letteratura Americana (Nord e Sud America),e se devo fare nomi, dico: John Fante, Charles Bukowski, Hunter Thompson, Ernest Hemingway, tutti i compari della Beat Generation, e assolutamente, sempre e comunque, Roberto Bolaño.

Se dovesse esprimere tre desideri?

Andare in macchina a Buenos Aires partendo da casa mia, qui in Messico, arrivare, ballare un tango e tornare. Vivere a Parigi. Campare di scrittura.

La sua vita in un tweet?

Datemi le prove che l’uomo esiste e inizierò a credere in Dio.

Ci parli del suo ultimo romanzo. A chi lo consiglierebbe e perché?

Potrei semplicemente dire che il mio ultimo libro è anche il mio primo libro. E mi sembra già qualcosa. Poi, beh, i miei racconti li consiglio a chi ha voglia di ridere o di incazzarsi. A chi non sa come passare un paio d’ore della sua vita. A chi cerca un lassativo in giornate difficili. A chi ama il Messico. A chi odia il Messico. A chi il Messico non sa neanche cosa sia.

Come nascono i suoi personaggi, vi è un collegamento con la realtà?

I miei personaggi esistono tutti. Ci ho parlato personalmente, o ne ho sentito parlare da qualcun altro. Come dice Baricco, ci sono scrittori da tana e scrittori da prateria, ed io, se sono scrittore, sono sicuramente uno scrittore da prateria.

Le ambientazioni che sceglie provengono dal reale o sono anche una proiezione dell’anima?

I posti di cui parlo li ho respirati, ci ho camminato, ci ho scritto poesie. Non potendo scrivere poesie in luoghi senz’anima, sì, le ambientazioni che scelgo sono anche proiezioni dell’anima, la mia, o quella del barista che mi serve una tequila, o quella del tipo in passamontagna che ti punta un mitra in testa, per esempio.

Come può riassumere ai suoi lettori il suo romanzo? Qual è il messaggio che vuole trasmettere?

Cercavo una scusa, un pretesto che mi permettesse eliminare i sogni e creare incubi caldi, caldissimi, e reali. Verga ci ha insegnato che il realismo è un’utopia. E quindi ho fatto del mio meglio per camminare verso quell’orizzonte. Quello che scrivo è quello che vedo, le mani sono un impaccio o una miniera d’oro. Il Messico è il nostro stupido sogno, è la realtà più dura che prova a violentarci. Volevo fare questo, senza ipocrisie: sfatare miti, catturare l’attenzione su un problemone enorme, dare un nome al vento che mi attraversa, lo stesso vento che separa super ricchi e poveracci. Ecco, questo volevo fare, mettermi dalla parte dei poveracci, e farvi arricciare il naso.

È già al lavoro su un nuovo libro?

Sì. A breve uscirà una raccolta di poesie e nel frattempo lavoro a una nuova raccolta di racconti  e a un romanzo. Non vi dico di cosa si tratta, perché ogni volta che lo faccio, poi, non butto giù più neanche una riga.

 

Silvia Casini

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