Men: recensione

Autore che ha visto la sua carriera nascere prima come scrittore, collaborando lungamente con il regista Danny Boyle (prima autore del libro The beach, poi sceneggiatore di 28 giorni dopo e Sunshine), l’inglese Alex Garland negli ultimi anni si è saputo anche ritagliare un consistente ruolo da regista, avendo messo mano a lungometraggi riconosciuti positivamente come i fantascientifici Ex Machina e Annientamento.

Alla sua terza prova dietro la macchina da presa, il nostro decide di sconfinare nel genere horror psicologico, mettendo in scena la vicenda personale di una donna tormentata dai propri fantasmi del passato; con Men il buon Garland compie una propria trilogia personale incentrata sul rapporto del mondo femminile con quello maschile, tema ricorrente del suo cinema e qua messo al centro di una storia dall’andamento lineare che si complica, però, di minuto in minuto sul proprio sviluppo delle situazioni.

Protagonista è la Jessie Buckley de La figlia oscura, la quale interpreta il ruolo della giovane Harper, una donna reduce da una disgrazia vissuta assieme al suo ex compagno James (Paapa Essiedu), ora in cerca di un luogo dove poter attraversa e superare quel periodo drammatico.

Stabilitasi in una magione nel bel mezzo delle campagne inglesi, gestita da un signore di nome Geoffrey (Rory Kinnear), la ragazza sembra aver trovato ciò che voleva, potendo affogare i propri ricordi e i propri dolori in una quiete avvolgente.

Solo che non tutto è ciò che sembra in quel luogo, perché ben presto Harper si ritrova immersa in una situazione da incubo, dove determinate presenze la assedieranno senza alcun apparente motivo, o almeno così sembra.

Immergendo la propria ispirazione verso un cinema horror inglese ormai passato (quello di The wicker man di Robin Hardy tanto per dire), basato sulla rappresentazione dell’angoscia e della paranoia, Garland attraverso Men si gingilla a creare una narrazione accattivante e trascinante, portando lo spettatore nel bel mezzo di un’atmosfera avvolgente, fatta però di personaggi all’altezza della situazione, ovvero che sappiano destare interesse negli occhi di chi sta assistendo.

E’ un intenso dramma che cresce tra le righe di una figura femminile complicata ciò che esce fuori da questo Men, un film capace di costruirsi come lungometraggio fatto di accattivante attesa, con una prima ora notevole, per poi affievolirsi verso lo scioglimento finale, che trasforma il metaforico in vera e propria narrazione filmica, ed il che non è proprio un bene.

Infatti Garland pecca nel gettare il suo film verso un epilogo fin troppo criptico, convincente per ciò che vuole dire (la donna al confronto con la società maschilista di oggi e di sempre), ma poco lucido per come lo dice, sfoggiando anche una serie di buoni effetti CGI dediti al raccapriccio e atti ad assecondare gratuiti momenti onirici.

Ovvio che anche la performance della Buckley porta il suo contributo a questo prodotto, la quale è sempre in scena assecondata da un Kinnear che dire poliedrico è dire poco (vedere per capire meglio),
ciò non toglie però che Men avesse bisogno di maggior premura verso una narrazione più semplice nella sua criptica chiusura, perché quando la metafora a tutto prende fin troppo il sopravvento sul racconto stesso si rischia di perdere il filo dell’attenzione, dando difficilmente senso oggettivo a ciò che si assiste.

Un’opera con i suoi pregi e difetti insomma, comunque affascinante per ciò che propone nella sua prima e riuscita parte.

Mirko Lomuscio