Che il futuro non sia roseo sotto le aspettative di un nome come David Cronenberg è forse cosa nota, data la sua indole dark nel descrivere il disfacimento di una società materialista poco incline alla mutazione esteriore/interiore che ne consegue col tempo, ma mai come anche stavolta il noto regista di Videodrome si è posto sotto un’ottica così pessimistica; prendendo per titolo il medesimo di una delle sue prime regie (un mediometraggio targato 1970), di Crimes of the future viene da dire che è puro stile del noto autore canadese, ma con l’incentivo che aggiunge sempre più fascino all’attenta analisi sociale svolta da Cronenberg e che anche stavolta, a suo modo, colpisce nel segno.
Utilizzando per protagonista il Viggo Mortensen già rodato nel mondo cronenberghiano con opere come A history of violence e La promessa dell’assassino, la trama segue le gesta di un’epoca a venire dove un personaggio di nome Saul (Mortensen) è un uomo il cui corpo rigenera organismi sconosciuti da estrarre con continui interventi chirurgici, operati dalla esperta Caprice (Léa Seydoux).
Queste operazioni divengono vere e proprie esposizione di concept art, richiamando a sé svariati ammiratori, come la misteriosa ed entusiasta Timlin (Kristen Stewart); tutto ciò però attira l’attenzione di una misteriosa setta che vorrebbe far sì che Saul intraprendesse una delle sue operazioni, portando a galla una realtà atta a far luce su una nuova tappa evolutiva della società futuristica.
Con il suo solito pregevole modo di fare da regista metodico e diretto, Cronenberg dopo otto anni dalla sua ultima regia, Maps to the stars del 2014, torna in una veste fantascientifica come ormai lo conosciamo da tempo, di quelle simili a concezioni come Existenz tanto per dire, regalando ai suoi estimatori e al pubblico in generale un ennesimo pugno nello stomaco orientato al sociale.
In Crimes of the future si parla di argomenti molto cari al nostro autore, della mutazione della carne come quella della vita umana, una serie di elementi utili per accompagnarci in un racconto fatto di raccapriccio e rudi compromessi, permeato di violenza grafica sempre ben accetta in questi contesti e di richiami sessuali che conseguono alle tentazioni della carne.
Una carne che nuovamente nel cinema cronenberghiano si fonde con la macchina, generando anche affascinanti soluzioni scenografiche (il marchingegno utilizzato nelle artistiche operazioni), ma che in determinati contesti si aggroviglia in rapporti sessuali, come quello poco convenzionale tra Mortensen e la Séydoux.
E poi in questa epoca modernizzata da una narrativa altamente digitale, dove l’effetto speciale viene inserito anche quando non serve, è sempre un piacere vedere un occhio vecchia scuola come quello di Cronenberg alle prese con un lungometraggio dall’andamento classico, complicato nei suoi significati magari ma molto efficace per ciò che racconta, facilmente fruibile come solo un classico del genere saprebbe essere.
Grazie a Crimes of the future è possibile assistere quindi ad un ritorno ben accetto di uno dei nomi forti del body horror, ritrovarlo sempre con le idee chiare e non compromesso da un perbenismo moderno altamente forzato e ormai troppo invadente, anche quando si tratta di avere a che fare con argomenti pessimisti di un certo calibro.
Mirko Lomuscio