Magic Mike – The last dance: recensione

Prosegue sui grandi schermi la saga dello spogliarellista Mike Lane, al secolo l’attore Channing Tatum, che ricoprì questo ruolo nel 2012 per la prima volta in Magic Mike sotto la regia di Steven Soderbergh e che nel 2015 riportò nuovamente al cinema sotto la direzione di Gregory Jacobs (produttore del primo film), facendo di conseguenza riaffiorare su celluloide quella voglia di testosterone prettamente femminile che gira tra locali strip e addii al nubilato.

Ora, 2023, si prosegue su quella stessa linea d’onda proponendo una nuova avventura, Magic Mike – The last dance, ma dal sapore europeo, dato che il nostro atletico protagonista si sposta in Inghilterra, nella sofisticata Londra; tutto parte da Miami, dove l’ex spogliarellista, lasciatosi alle spalle una fallimentare carriera nel settore immobiliare, si barcamena in lavoretti da barman.

In un grande evento di beneficenza fa la conoscenza della ricca donna d’affari Maxandra Mendoza (Salma Hayek Pinaut), che sin dal primo momento instaura un legame sentimentale con il bel Mike, tanto da portarlo con sé a Londra, dove lei gestisce un importante teatro.

L’idea di Maxandra è quella di rielaborare un noto testo del palcoscenico in versione strip dance, lasciando al suo nuovo compagno la direzione del tutto e cercando di riportare in auge i fasti dell’intero stabile teatrale.

Per Mike quindi si presenta un’occasione a dir poco unica, dove a spalleggiarsi saranno professionalità ed amore, in un crescendo di momenti emotivi che più di una volta lo mostreranno fuori luogo ma mai inappropriato per il tipo di lavoro da svolgere.

Sempre sotto la direzione di Soderbergh, che torna alla regia di questa serie dopo aver soltanto prodotto il numero due (nonché fotografato e montato con i suoi soliti pseudonimi), Magic Mike – The last dance non era proprio il sequel di cui se ne sentiva bisogno, anche a vederla sotto un occhio prettamente femminile, unico pubblico che magari ci troverà del buono in questa operazione (bicipiti e ballerini ben dotati sono onnipresenti, vedere per credere).

Siamo dalle parti del cinema patetico in questo terzo capitolo, tirato su senza un briciolo di creatività e di senso dello stile narrativo, seppur dietro la macchina da pressa ci sia il volenteroso regista premio Oscar di Traffic e di Ocean’s eleven – Fate il vostro gioco; il lungometraggio è un continuo mostrare doti atletiche dei suoi muscolosi ballerini e del “perfetto” protagonista interpretato da Tatum, la cui recitazione dubbia si presta a questo tipo di personaggio strip dancer che, nella misera economia della trama e dello script (steso dal solito Reid Carolin dei due film precedenti), riceve di minuto in minuto solo complimenti da ogni personaggio che incontra.

In mezzo a tutto ciò tocca anche assistere ad una Hayek Pinault ridicola all’inverosimile, cui spetta il ruolo di questo character a dir poco odioso per quanto arrogante e materialista nel profondo, che in fin dei conti la stessa attrice non merita, per non parlare dei vari personaggi di contorno, macchiette stilizzate al minimo indispensabile (il maggiordomo british interpretato dall’indiano Ayub Kahn-Din, la figlia “intelligente” di Maxandra, l’attrice sfrontata resa da Juliette Motamed, più uno stuolo di ballerini che fanno solo da bella cornice), tutti malamente assortiti per una visione che sa rendersi anche insostenibile nella sua vuotezza morale e scontata.

Parafrasando il sottotitolo del film, e prendendolo per la promessa quale è, speriamo veramente che questa sia la “last dance” di Magic Mike, perché un altro capitolo di questi livelli non potrebbe essere per niente sostenibile.

Mirko Lomuscio