L’isola dei cani: recensione

Presentato a La Berlinale 2018, L’isola dei cani rappresenta la seconda incursione nell’animazione stop-motion di Wes Anderson.

Nel prossimo futuro, l’immaginaria città giapponese di Megasaki è tormentata da una sovrappopolazione e da un’influenza canina tanto epidemica quanto sospetta, tanto da spingere il sindaco anti-cane Kobayashi a esiliare l’intera popolazione canina in un’isola vicina, Trash Island. Sarà un bambino, il dodicenne Atari Kobayashi, alla ricerca della sua guardia del corpo a quattro zampe, a dare una svolta a quello che appare uno stermino annunciato.

 

Divertente, frenetico e chiassoso L’isola dei cani è un’avventura ticchettante e bruscamente scritta – basata su una sceneggiatura di Anderson tratta da una storia che ha sviluppato con Roman Coppola, Jason Schwartzman e Kunichi Nomura – che beneficia enormemente di un senso dell’umorismo a volte oscuro e di una cifra stilistica stupefacente. Il film può essere goduto semplicemente per i suoi piaceri di superficie – la sua storia unica, le sue voci singolari e la sua splendida animazione – ma anche grazie ad elementi che piaceranno a coloro che vogliono scavare più a fondo. La storia vuole essere un’allegoria riflessiva, ricordando gli orrori dei campi di concentramento e i mali della discriminazione. E ricorda a tutti noi che non è giusto scartare tutti i cani come spazzatura, così come non dovremmo farlo con gruppi di persone.

La trama ruota intorno ad un pilastro della cinematografia del regista: la famiglia, la ricerca degli affetti che oggi si allarga al concetto di comunità e coinvolge un’altra specie, gli amati amici pelosi. Nell’isola dei cani di Anderson c’è molto della nostra società, delle nostre contraddizioni, il bene e il male: un mix di attesa e ilarità, di gesti di speranza, di zuffe che ci coinvolge atto dopo atto, tanto da illuderci che la visione duri molto meno dei suoi 101 minuti complessivi.

L’opera di Anderson è una delizia per tutte le età, una gemma artistica e divertente che a sua volta è estrosa e riflessiva, umoristica e sentita, sciocca e dolce. Oltre a ciò, è un capolavoro artistico, caratterizzato da incantevoli immagini in stop-motion che hanno un modo accattivante di attirare gli spettatori nella storia – e, meglio ancora, impedire al mondo esterno di sfondare le porte del teatro.

 

Federica Rizzo

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