L’infinito: recensione

Si è mai troppo grandi per un albo illustrato?

Oggi, mi sono portata a casa L’infinito, quindi no, non credo.

Sì, proprio quell’Infinito , quello immaginato oltre la siepe, su di un ermo colle, duecento anni fa da un ventunenne Giacomo Leopardi.

Sempre caro mi fu quest’ermo colle, e questa siepe, che da tanta parte dell’ultimo orizzonte il guardo esclude”.

Che già, voglio dire, è poesia così, punto.

E invece, succede che l’illustratore Marco Somà, lo disegna, dandogli forma e colore nuovi. E qualunque sia la tua età, rimani a bocca aperta.

“Si può chiudere l’infinito in una bottiglia, in una scatola, in un recinto? No, ma lo si può cantare e consegnare al futuro in quindici endecasillabi sciolti”.

Ha le pagine grandi, profumano di buono. Ti senti piccola, persa nel tenue.

“Ma sedendo e mirando, interminati spazi di là da quella, e sovrumani silenzi, e profondissima quiete io nel pensier mi fingo; ove per poco il cor non si spaura”.

E immagini.

“E come il vento odo stormir tra queste piante, io quello infinito silenzio a questa voce vo comparando”.

Le pagine, non le volti soltanto, ti viene da accarezzarle, prendertene cura, ammirarle e rimirarle.

“e mi sovvien l’eterno, e le morte stagioni, e la presente e viva, e il suon di lei”.

Leggere a voce alta, finire e ricominciare.

“Così tra questa immensità s’annega il pensier mio”.

E c’è chi per te, lascia un pensiero incastonato al termine.

“Ognuno ha la sua siepe, un luogo nel quale stare da solo e lasciare che l’immaginazione si muova liberamente nel tempo e nello spazio. Non sappiamo se quell’infinito esista realmente, eppure ci piace provare a immaginarlo. In questo preciso istante, mentre sei seduto e i tuoi occhi scorrono questi segni, la tua mente viaggia indietro di duecento anni e poi in avanti, forse, o chissà dove. Forse la tua siepe la stai stringendo tra le mani. Nello spazio finito della pagina di un libro, un luogo d’accesso al tuo splendido naufragio”.

Daniele Aristarco.

“E il naufragar m’è dolce in questo mare”.

Erika Carta

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