Le sorelle Donguri: recensione

“L’ho capito subito che c’era qualcosa tra il tuo modo di scrivere e il mio modo di leggere”.

È questo il messaggio che ho depositato nel mondo virtuale di Facebook, diretto ipoteticamente alla scrittrice giapponese Banana Yoshimoto, dopo aver letto il suo ultimo libro: Le sorelle Donguri.

Ed è così, lo è sempre stato. Non ricordo cosa mi spinse a leggerla per la prima volta, ma si sa… il legame tra libri e lettori è tutto particolare, come se d’un tratto venissi invaso da polvere di fata e pensieri felici.

Inspiegabile magia.

Lessi L’abito di piume e le parole scritte tra quelle pagine si posarono su di me con la stessa leggerezza e candore, che ritroverò sempre nei suoi lavori.

Banana Yoshimoto ha la capacità di trattare temi angusti come la morte, le separazioni, la solitudine, in un modo che si attacca alla pelle senza però angosciarla. Parla con delicatezza di sentimenti necessari, incoraggia i suoi personaggi a non rifuggerli anche laddove scavino profondi solchi di dolore.

E lo fa attraverso il racconto della quotidianità e la descrizione dei paesaggi del Giappone che leniscono come balsamo le ferite.

Sembra sempre di respirare l’aria fresca e pulita delle montagne, di trarre benefici quando i personaggi sorseggiano del buon tè in foglia, o di sentire lo sciabordio del fiume che attraversa le città.

Si passeggia nelle vie con negozi e locali, si spuntano dalla lista gli ingredienti da comprare nelle bancarelle al mercato.

E nella solitudine tranquilla tra le mura di casa, pare di sentir provenire dalla cucina il profumo della zuppa di miso, o di ramen.

Ci sono i pensieri profondi, la vita vissuta giorno per giorno, l’avanzare lento del presente con ogni senso all’erta pronto a godersi le piccole cose.

C’è sempre una rottura da risanare, un ritorno agli affetti della famiglia, alle origini da cui attingere semplicità, come una sorta di rincorsa all’indietro per poi spiccare il volo in avanti, verso il futuro, la rinascita, verso un assestamento dell’Io che diffonde calma consapevole e lascia il lettore pieno di beata speranza.

 

Erika Carta

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