Labbra di vino, di pioggia e di lacrime

Continuano i racconti scritti da Samanta Crespi e ispirati al film Ladyhawke del 1985 diretto da Richard Donner.

Buona lettura!

“Balliamo mia Signora?” Domandò Philippe con fare divertito, porgendo la mano ad Isabeau.

“Ma non sono capace, non ricordo nemmeno come si fa’” rispose lei sorridendo un po’ in imbarazzo.

Non danzava con qualcuno da molto tempo, e l’ultimo uomo che le aveva fatto fare le giravolte era stato proprio Navarre più di due anni addietro.

“Vi guiderò io mia Signora, è facile” disse Philippe sicuro di sé, ed anche un po’ emozionato per contatto con la pelle morbida e candida della mano di lei nella propria.

Iniziarono a muovere alcuni passi, seguendo la melodia che proveniva dall’esterno della scuderia. Una pallida torcia illuminava i loro corpi, proiettando ombre e riflessi sulle travi in legno e sul pagliericcio.

Isabeau rise, la sua era una risata così dolce, che Philippe pensò che avrebbe potuto amarla anche solo per quel motivo, senza mai stancarsi di ascoltarla.

Facendosi un po’ più spavaldo, “il topo”, come lo avevano soprannominato nelle prigioni di Aguillon, si fece coraggio e prese a volteggiare in cerchio insieme ad Isabeau, cingendole la vita con un braccio, mentre cercava di tenere il tempo del “saltarello” con il piede.

Goliath, lo stallone di Navarre, li osservava dalla staccionata, sbuffando di quando in quando e raspando il terreno con gli zoccoli ferrati.

Fuori la pioggia imperversava copiosa, attutendo molti rumori, ma non la musica, il giovane Philippe e la bellissima Isabeau danzavano come se non avessero mai fatto altro nella vita, poi ad un tratto la magia tra loro si dissolse, lei si staccò bruscamente da lui.

“Basta Philippe, mi gira la testa…” disse, con l’ultima giravolta era quasi finita a terra, poiché lui aveva impresso troppo slancio nel movimento.

“È stato molto bello” ammise la donna dalla pelle di alabastro. “Grazie”.

“Dovere mia Signora, ditemi ciò che desiderate e io cercherò di esaudirlo”  disse Philippe serio in volto.

“Mi piacerebbe assaggiare una coppa di buon vino… è da molto che non ho più avuto l’occasione di assaporarne un po’”ammise Isabeau, facendo implicitamente riferimento alla sua disgraziata condizione, la maledizione che aveva addosso, suo malgrado, e che la costringeva ad una semi-vita in forma umana, solo e soltanto  di notte.

Il giovane dagli occhi bruni comprendeva perfettamente lo stato d’animo di Isabeau, in quanto Imperius gli aveva rivelato ogni cosa riguardo ai due poveri amanti maledetti da Sua Grazia, il Vescovo di Aguillon.

Philippe era rimasto coinvolto in quella triste storia senza volerlo, ed ora il suo destino era legato a doppio filo sia al Capitano Navarre durante il giorno, che ad Isabeau durante il chiaro di luna.

“Agli ordini Mia Signora, e vino sia”. Annunciò Philippe riparando entrambi con una coperta, per evitare che il diluvio li inzuppasse dalla testa ai piedi. Prima però, di lasciare la stalla con Isabeau stretta al fianco, si ricordò di prendere con sé la pesante spada di Navarre.

“Vedo che intendi seriamente essere il mio protettore, ne sono lusingata…” confessò lei, a poca distanza dal suo viso, mentre con una mano teneva i lembi della coperta sopra la testa.

“No mia Signora, voi non capite… è che se perdo la sua spada lui mi ucciderà!” Ammise lui, preoccupato, ma sorridente.

Mentre i due si apprestavano a raggiungere la vicina locanda, da cui proveniva oltre alla musica, anche una scia odorosa di carne stufata, Philippe pensò che mai aveva avuto una donna così vicina a sé, sapeva di pino e di castagne, e qualcos’altro di dolce e sensuale che lo inebriava.

Isabeau sapeva di vento, dì libertà e di proibito, ed era bella quasi da far male,

Si diede mentalmente del pazzo, non poteva, e non doveva aspettarsi niente da lei, era solo uno sciocco, come tutti gli altri uomini prima di lui, se ne era innamorato, praticamente al primo sguardo. Una donna inafferrabile, eterea, ma meravigliosamente viva, che non sarebbe mai stata sua. Il cuore di Isabeau, apparteneva, e sarebbe sempre stato, del bel Capitano Etienne Navarre.

Eppure Philippe Gaston, aveva l’impressione che ci fosse dell’altro negli occhi di lei, e nei suoi gesti, qualcosa che andava oltre la mera riconoscenza da parte sua.

“Devo essere impazzito” disse sottovoce, ma non abbastanza da non essere udito da Isabeau.

“Come?” Disse lei, mentre la pioggia autunnale si rovesciava impietosa sulle loro vesti e sulle loro teste, facendoli rabbrividire dal freddo.

“Nulla di importante, mia Signora… statemi vicino o vi bagnerete! Non vorrei che vi ammalaste proprio quando siete sotto la mia protezione. Ho promesso al Capitano che non vi sarebbe successo nulla di male, e intendo mantenere la parola data!” gridò lui, per coprire il rumore di un tuono, segno di un temporale in arrivo.

Senza poter vedere, poiché la coperta copriva loro la visuale, i due andarono a sbattere contro qualcosa di duro e soffice allo stesso tempo.

Isabeau, inebriata dal ballo di poco prima, si scoprì il volto sorridente per chiedere scusa, ma quello che vide la inorridì. La donna dai corti capelli biondi, lanciò un grido disperato, mentre con mani tremanti toccava le pellicce dei lupi morti davanti a sé, insanguinandosi le dita.

Alla testa di quel macabro spettacolo, stava un uomo di nome Cesar, dall’aspetto selvaggio e inquietante, seduto sopra un carro sgangherato, pieno di carcasse di lupi, poste a bella vista sotto la pioggia.

“Va’ dentro! Isabeau, va’ dentro!” La spingeva indietro Philippe con un braccio, mentre con l’altra mano brandiva lo spadone di Navarre verso il bracconiere, che, per tutta risposta rise ancora di più.

“Isabeau, allora sei tu…” disse Cesar, con voce maligna, mostrando un mezzo sorriso sdentato.

“Non osare toccarla, o ti ritroverai la mano tagliata, accanto alla testa!”  Gridò Philippe cercando di racimolare tutto il coraggio necessario per dar corpo a quella sua minaccia verbale, nonostante l’arma del Capitano fosse troppo pesante nelle sue mani di semplice ladruncolo da strada.

“Piano ragazzo, piano, non vorrai farti male con quella…” rispose beffardo Cesar. Aveva lo sguardo folle, quando diede l’ordine ai cavalli allontanandosi in direzione del bosco. Un lampo illuminò il carro rendendo il tutto ancora più spettrale e angoscioso.

Philippe non fece in tempo a rientrare nella stalla, che fu scavalcato da Isabeau in sella a Goliath, che si lanciò dietro il cacciatore di lupi, dritta verso l’ignoto e l’oscurità della selva.

“Isabeau, Isabeau!” Il richiamo disperato del ragazzo, ormai fradicio e tremante, si perse nella pioggia e nel frastuono del temporale.

“Mi ucciderà, Navarre mi ucciderà!” Disse sconfortato Philippe, abbassando  la pesante spada del Capitano. Non ebbe altra scelta, se non seguire Cesar e Isabeau, verso la boscaglia.

Quando il “topo” finalmente la ritrovò lei stava in piedi, con il pugnale alzato nella mano destra e gli occhi come quelli di un cerbiatto spaventato.

Il corpo del cacciatore giaceva inerme, presumibilmente senza vita,  al suolo, con la testa grottescamente incastrata in una delle tagliole che dovevano servire a catturare i lupi.

“La degna fine per uno come lui” pensò Philippe, ma non parlò. Si limitò ad osservare Isabeau, terrorizzata ed illuminata solo dalla luce dei lampi che rischiavano gli alberi e rischiaravano a giorno, quel fitto dedalo di rami e foglie bagnate. Tutto, in quel momento, assunse un aspetto sinistro ed inumano.

Un lupo dal manto nero come la notte, si allontanò da Isabeau, non appena avvertì la presenza del giovane Philippe. Lei aveva i capelli fradici e incollati al viso, espirò, e dopo un lungo momento in cui cercò lo sguardo del ladruncolo, si decise a rinfoderare il pugnale.

Lo stesso fece Philippe, abbassando la pesante spada, consapevole che poco avrebbe potuto fare contro uno della stazza di Cesar, per fortuna la provvidenza gli era venuta in aiuto, facendo sì che quell’uomo facesse la fine che si meritava.

Quando entrambi furono sicuri di essere totalmente fuori pericolo, Isabeau puntò i suoi bellissimi occhi azzurri su Philippe e disse solamente: “Torniamo indietro”.

Nessuno dei due proferì parola fino a quando non furono di nuovo entro le mura confortanti della scuderia.

“Grazie” mormorò lei, indecisa su cosa dire al suo “quasi” salvatore.

Philippe aveva avuto coraggio a seguirla nel bosco. Lei avrebbe potuto rimanere ferita o peggio, ed anche lui aveva rischiato la medesima sorte, e questo solo per una promessa fatta a Navarre, ad Isabeau non piacque quel pensiero.

“Di nulla Mia Signora. Ne andava del mio onore e del mio coraggio, anche se non ne possiedi molto in verità, ma quello che ho, è nelle vostre mani” rispose Philippe un po’ in imbarazzo.

“Aspettate! Siete fradicia, vi ammalerete se restate così…” Philippe pensò di procurare loro abiti asciutti, la guardò un istante, per soppesarne la taglia, ma rimase senza parole. Isabeau era di una bellezza travolgente, e tutta l’acqua che le inzuppava la veste, non faceva che renderla ancora più intrigante.

Il topo scosse la testa, cercando di scacciare quegli impudici pensieri.

“Vi occorre altro mia Signora? Per questa notte sono ai vostri ordini, ricordate?”.

Philippe cercava inutilmente di stemperare l’agitazione che ancora aleggiava nell’aria.

“Credo sia il momento adatto per gustare quella coppa di vino di cui dicevamo…” disse piano lei.

Philippe annuì. Avevano bisogno di distendere i nervi, dopotutto avevano quasi rischiato la pelle in quella notte terribile.

“Tornerò in un lampo Mia Signora!”.

“Tranquillo, so badare a me stessa. Sono stata sola ogni notte, per quasi due anni, un po’ d’acqua non mi spaventa di certo!”. Lo rassicurò lei, cercando di apparire più forte e coraggiosa di quanto non fosse in realtà, si sentiva esausta e sul punto di crollare. Isabeau si sentiva però, molto grata a Philippe per quelle sue premure e, soprattutto per la sua presenza. Per molte interminabili notti, il suo unico compagno di sventure era stato il fedele destriero Goliath, insieme al lupo dal manto nero, che celava l’animo del suo amato Navarre, in forma animale.

Quella sera, invece, lei aveva la fortuna di avere accanto a sé qualcuno che non fosse ricoperto di folta pelliccia, non avesse il muso e quattro zampe. Un altro essere umano, insomma, con cui dividere quella sventurata sorte, con cui parlare senza temere ritorsioni o, peggio, violenze di ogni tipo.

Non bisogna dimenticare che, per la gente comune, una donna sola come lo era lei, sempre in compagnia di uno strano lupo, costretta a vagare solo di notte, rischiava pur sempre di essere tacciata di stregoneria e di chissà quali altre cose.

“Che male poteva esserci nel godere di un momento di serenità e spensieratezza, dopo tanto soffrire?” Si chiese la giovane  Isabeau D’Anjou tra sé.

Il ragazzo tornò con dei pesanti abiti sottobraccio, e con una bottiglia ed un boccale di legno nell’altro.

“Li hai rubati?” Chiese lei, mentre finiva di indossarli, appartata dietro la  sagoma di Goliath.

“Si può dire che io li abbia presi in prestito, mia Signora” disse Philippe, alludendo alle vesti femminili che ora cadevano morbide e aggraziate, sul corpo esile di Isabeau.

“Per il vino, invece, ho dato all’oste una moneta sonante. Ho solamente boccale, non volevo dare nell’occhio, ecco… usatelo voi…” disse Philippe, quasi scusandosi.

“Hai fatto benissimo. E ora versami da bere, ti va’?” Isabeau prese il calice dalle mani del ragazzo e glielo avvicinò, per farselo riempire con quel buon vino speziato, il cui aroma entrava prepotente nelle narici ed il cui sapore agrodolce scaldava la gola.

Rimasero entrambi in silenzio per un po’, poi Isabeau, dopo aver svuotato il contenuto del suo terzo boccale, inaspettatamente scoppiò in un pianto a dirotto.

Philippe, sulle prime, pensò che fosse per la stanchezza, o per l’eccesso di vino, ma avvicinandosi a lei, si rese conto che dietro quelle lacrime c’era ben altro. Qualcosa di molto simile alla solitudine, alla rassegnazione, alla più nera  disperazione.

Tutti sentimenti legittimi, pensò Philippe solo che non sapeva bene come consolare Isabeau e sapeva che, in quel momento, qualsiasi tentativo di confortarla a parole sarebbe stato tanto utile quanto accendere un falò con della legna bagnata.

Cosa ne poteva sapere un ladruncolo scapestrato, e impenitente, come lui di quello che provava lei nel profondo? Di cosa voleva dire sacrificare un’intera vita in nome di un amore impossibile?

Eppure il giovane Philippe sentiva il cuore dolere mentre guardava Isabeau versare in quello stato. Desiderò ardentemente, nel suo piccolo, di farla stare meglio, ma non osava far alcunché, per timore di essere scacciato o incompreso.

“Al diavolo tutto!” Si disse e, con fare abbastanza goffo, prese Isabeau e l’abbracciò stretta a sé.

Lei sul momento si irrigidì, non essendo abituata a quel tipo di contatto, ma un attimo dopo abbandonò il viso contro la spalla di Philippe, singhiozzando rumorosamente. Lui senti che i capelli di Isabeau erano ancora umidi e scompigliati, il bel biondo naturale della sua chioma, con quella luce fioca delle torce, appariva ramato. Philippe le passò una mano tremante sulla testa,  sfiorandola appena, come a volerla rassicurare.

Non osava fare altro, limitandosi a lasciar sfogare il pianto di Isabeau.

Aveva il terrore della reazione del capitano Navarre se avesse saputo che lui l’aveva toccata.

“Philippe io…” disse lei fra le lacrime, senza sollevare il viso, che rimase nascosto contro il petto di lui.

“Va tutto bene Mia Signora, non dovete preoccuparvi, non lo dirò a nessuno” la rassicurò Philippe, convinto che Isabeau si stesse vergognando di avergli mostrato quel suo lato così vulnerabile.

“Mi sento così sola, sai lui ci riporterà ad Aguillon. Io non voglio tornare Ho paura per la mia vita ed anche per quella di Navarre…” ammise Isabeau, che non comprendeva la scelta suicida del suo amato, di tornare proprio là, nel cuore del luogo dal quale erano fuggiti.

“Andrà tutto bene, ci sono io con voi… E con il Capitano” si corresse Philippe all’ultimo, iniziando a sentirsi a disagio ad avere Isabeau così vicina, ne respirava il profumo cercando, invano, di placare i pensieri e i desideri della sua  mente.

Photo credit: Giuseppe De Luca

“Grazie… sei un vero amico” disse Isabeau, che alzando gli occhi verso di lui gli mostrò il bel volto rigato di lacrime.

“Un vero amico mia Signora, non penserebbe quello che sto pensando io in questo momento” disse lui cercando di allontanarla da sé.

Philippe la desiderava, non poteva negarlo, ma non poteva nemmeno approfittare della situazione, facendo così un torto gravissimo al Capitano Navarre. Se avesse ceduto, sarebbe andato dritto dritto all’inferno, di questo ne era certo.

Fu Isabeau a sorprenderlo, anticipandolo in un certo senso, come se avesse intuito cosa pensavano quegli occhi bruni,  e lucidi, fissi su di lei.

Si avvicinò a Philippe, lentamente, così lentamente che quei brevi istanti che annullarono lo spazio tra di loro. sembrarono durare un’eternità, invece che il tempo di un respiro.

La giovane Ladyfalco chiuse gli occhi, e dolcemente posò le sue labbra umide, che sapevano di sale e di vino, su quelle bagnate di pioggia di

Philippe. Il ragazzo spalancò gli occhi, confuso ed emozionato, non osando muovere un muscolo, nemmeno per ricambiare quello struggente contatto.

Fu un bacio timido, fugace, che lasciò ad entrambi la sensazione di aver commesso un errore, un dolcissimo errore.

Philippe ebbe appena il tempo di assaporare quelle meravigliose labbra morbide e rosee, che lei si staccò da lui.

“Perdonami Philippe, non so cosa mi sia preso, forse il troppo vino” disse lei arrossendo, asciugandosi le lacrime sul viso col dorso della mano.

“Non lo dirai a Navarre, vero? Ne morirebbe… ha già sofferto abbastanza a causa mia” domandò Isabeau, con la vergogna ed il terrore che le serravano le viscere.

Il giovane Philippe, detto “il topo”, la guardò con occhi gentili, poi si fece serio e, portandosi la mano sul cuore, pronunciò queste parole: “lo giuro mia Signora. Giuro sulla vita di mia madre, anche se non so minimamente chi lei sia, che niente di tutto quello che è accaduto uscirà dalla mia bocca!”

Quest’ultima affermazione fece sorridere Isabeau, e tutto sembrò tornare alla normalità, persino Goliath ora riposava sereno e tranquillo.

Poco prima che i due si coricassero, nel fienile, per cercare di riposare qualche ora, la voce di Philippe risuonò un’ultima volta.

“Voi siete una donna meravigliosa ed il Capitano è un uomo fortunato ad avervi. Sono sicuro che tutto si sistemerà, confido nella immensa generosità del Signore, sapete parlo con lui continuamente…”

“Buonanotte Philippe…” disse Isabeau, sorridendo al pensiero che Dio ascoltasse davvero  le preghiere di quel piccolo “topo”, ma in fondo che male c’era a sperare in un lieto fine per loro?

“È stato bello” sussurrò lei, sfiorandosi il labbro inferiore.

Lo stesso fece Philippe, non visto da Isabeau, richiamando alla mente la sensazione di quel bacio impossibile. Un segreto che d’ora in avanti avrebbe gelosamente custodito nel proprio cuore di ladro.

 

Samanta Crespi

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