La settima musa: recensione

Prima ancora di avere a che fare con il progetto legato alla serie zombie P.O.V. [rec] ed aver realizzato il thriller domestico Bed time, il regista Jaume Balaguerò è stato un autore legato maggiormente alla realizzazione di pellicole suggestive, tra le storie di fantasmi e le narrazioni ben condensate, ricche di atmosfera ed indagini al di là del paranormale; vale la pena citare a riguardo il trittico di opere che lo hanno lanciato nel campo dell’horror, quali sono Nameless – Senza identità, Darkness e Fragile: a ghost story.

Ora, tornando su quei passi, il nostro autore catalano arriva in sala con una nuova storia fatta di maledizioni e manifestazioni ectoplasmiche, narrando le gesta di un gruppo di donne legate ad una esecrazione che le vuole al centro di un rito sacro, mortale per alcune persone; La settima musa, tratta da un romanzo di José Carlos Somoza, è una pellicola che quindi prende avvio da questo spunto per poter inscenare la sua intricante trama, dove vediamo il protagonista, il professore universitario Samuel Solomon (Elliot Cowan), entrare in una spirale misteriosa un anno dopo aver assistito ad una tragedia legata alla sua amata Beatriz (Manuela Vellés).

L’uomo viene ben presto coinvolto nella misteriosa faccenda delle “sette muse”, un gruppo di personalità femminili dalla natura diabolica che vogliono qualcosa da Samuel e dalla misteriosa Rachel (Ana Ularu), una spogliarellista dal passato nascosto.

Sia lui che quest’ultima intraprenderanno quindi una lunga rincorsa verso la salvezza, cercando di scoprire come fermare la sete di sangue delle “sette muse”, e per far ciò non dovranno far altro che seguire quei versi poetici che danno linfa vitale alle diaboliche streghe.

Ripercorrendo quei primi passi che mosse per entrare nei lidi di autore horror da tener d’occhio, Balaguerò ci racconta questa nuova storia gotica e spaventosa riprendendo in mano quel suo stile tipico di una volta, fatto di atmosfere dark notevoli, e ben orchestrate, più un alto senso dello spavento calibrato, quello che regnava prima ancora dell’arrivo di noiose storie di fantasmi fini a se stesse degli ultimi anni.

Grazie a La settima musa lo spettatore potrà riassaporare dei veri brividi ottimamente giostrati, che fanno da contorno ad un’interessante storia, scritta dal regista stesso assieme a tale Fernando Navarro, la quale vede al centro di tutto l’importanza letteraria della poesia, fattore scatenante da cui nasce ogni singolo fotogramma suggestivo di questa pellicola.

Un modo di agire che porta della sana vecchia scuola al servizio di questo lungometraggio, che Balaguerò tira su utilizzando volti adeguati, come quelli dei protagonisti Cowan e Ularu, più la presenza guest di Franka Potente (è Susan, amica e collega di Samuel), Joanne Whalley (è una delle muse, colei che convoca) e Chrisopher Lloyd (è il professore Bernard Rauschen).

Nonostante sulle prime questa trama delle “sette muse” possa ricordare parecchio le “tre madri” di argentiana memoria (quella mostrata nel trittico Susipria, Inferno e La terza madre), La settima musa è un appuntamento suggerito per chi è in cerca di brividi ragionati e ben dilatati, senza che possa annoiarsi di fronte ad una narrazione fin troppo compiaciuta e dedita, inutilmente, a fare la differenza.

Nel film di Balaguerò quella differenza è ben papabile e gestita in modo veramente degno di nota.

Mirko Lomuscio