La ruota delle meraviglie: recensione

Appuntamento consolidato per ogni annata cinematografica, l’arrivo in sala del nuovo film firmato Woody Allen rappresenta ormai un’occasione per poter assistere all’evoluzione narrativa di un autore che milita da quarant’anni a questa parte, senza aver mai saputo dimostrare un vero e proprio segno di cedimento qualitativo estremo (nonostante le idee recentemente sembrano essere, ovviamente, ripetitive).

Stavolta il noto regista ci regala un titolo come La ruota delle meraviglie, dramma ambientato negli anni ’50, in quel di Coney Island, tra giostre colorate e sotto la magnificenza di una ruota panoramica, sita sopra i pontili del luogo.

Protagonista è la donna sposata Ginny (Kate Winslet), legata al rozzo giostraio Humpty (Jim Belushi), entrambi reduci dalla fine di un matrimonio; lei per aver tradito il proprio marito, lui perché sua moglie è morta.

Costretta a lavorare in un ristorante, la donna ha nel suo passato anche una piccola carriera di attrice teatrale, passione che ha sempre portato dietro con sé, ed ora è costretta ad utilizzare un po’ di questa arte per poter nascondere ad Humpty un piccolo segreto; infatti Ginny ha una storia d’amore con il bagnino Mickey (Justin Timberlake), un giovane con velleità da scrittore.

A metterci lo zampino in questa faccenda arriva Carolina (Juno Temple), figlia ventenne di Humpty avuta nel matrimonio precedente, la quale torna dal padre dopo essere fuggita dal proprio marito gangster.

Il suo arrivo scombussolerà diverse cose, dimostrando che il destino, quando ci si mette, sa essere a dir poco crudele.

Con un pizzico di ispirazione più accentuata rispetto al precedente Cafè Society, il vecchio Allen torna a colpire di nuovo, portando lo spettatore in un’altra storia fatta di intrighi sentimentali e drammi teatrali, tra “crimini e misfatti”; La ruota delle meraviglie si muove sulle stesse simmetrie narrative di altre prove del regista di Misterioso omicidio a Manhattan, rinunciando ben volentieri alla risata fin troppo facile (poche sono le battute memorabili in questa pellicola) e scrutando nell’animo dei suoi personaggi disperati.

Gran parte di suo lo mette, ovviamente, la grande Winslet, protagonista afflitta e affranta, distrutta da una serie di scelte sbagliate, mosse soprattutto da una deleteria ambizione sfrenata portate a dare il peggio nei sentimenti; la sua Ginny è il motore de La ruota delle meraviglie, colei che porta avanti la narrazione, nonostante si tratti di uno dei personaggi meno ispirati del cinema di Allen, di quelli che insomma non fanno una gran differenza nel suo panorama.

Chi invece da’ grande pregio qua è il buon Belushi, nei panni di un marito tradito e sconfitto, alcolizzato e manesco, soprattutto quando si tratta di minacciare il figlio piromane di Ginny; il suo di personaggio è quello che maggiormente rimane impresso in questa pellicola, ed è a lui che si deve quella piccola differenza riscontrata nella presente pellicola rispetto al resto del cinema di Allen. Minima ma c’è.

Per quanto riguarda la Temple e Timberlake possiamo parlare di performance che portano al loro curriculum un’altra partecipazione di classe, ma nulla più.

A conti fatti La ruota delle meraviglie è un appuntamento consigliato per gli alleniani cronici, nella media dei prodotti del buon Woody, di quelli sfornati col pilota automatico, senza guizzi particolari e nulla più.

 

Mirko Lomuscio

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