La forma del buio: intervista esclusiva a Mirko Zilahy

Vi ricordate di Enrico Mancini, il tormentato profiler creato da Mirko Zilahy?

Ebbene, La forma del buio prosegue il percorso iniziato con È così che si uccide tra le strade, i cunicoli, i monumenti classici e post industriali, il sotto e il sopra, l’acciaio e il verde di Roma.

Se È così che si uccide è un libro sul senso (relativo) della giustizia e sulla disumanità di cui sono capaci gli uomini, La forma del buio affronta il tema della realtà e del suo doppio: l’illusione, la visione, la trasformazione.

Infatti, nel nuovo romanzo di Zilahy, Roma è nelle mani di un assassino, un mostro capace di dare forma al buio. Una tenebra fatta di follia e terrore, che prende vita nel rito dell’uccisione. Le sue visioni si tramutano in realtà nei luoghi più sconosciuti ma pieni di bellezza della città, perché è una strana forma di arte plastica quella che il killer insegue.

Lui si trasforma, e trasfigura le sue vittime in opere ispirate alla mitologia classica: il Laocoonte, la Sirena, il Minotauro… sono però soltanto indizi senza un senso apparente, se non si è in grado di interpretarli. Di analizzare la scena del crimine. E tracciare un profilo. Ma il miglior profiler di Roma, il commissario Enrico Mancini, è lontano dall’essere l’uomo brillante e deciso di un tempo. E la squadra che lo ha sempre affiancato non sa come aiutarlo a riemergere dall’abisso. Mentre nuove “opere” di quello che la stampa ha già ribattezzato “lo Scultore” appaiono sui palcoscenici più disparati, dalla Galleria Borghese all’oscura, incantata Casina delle Civette a villa Torlonia, dallo zoo abbandonato all’intrico dell’antica rete fognaria romana, Mancini viene richiamato in servizio e messo di fronte a quella che si dimostra ben presto la sfida più terribile e complicata della sua carriera. O forse della sua stessa vita.

Se volete saperne di più e se siete curiosi di scoprire il lato inedito di Mirko Zilahy, che ha insegnato lingua e letteratura italiana a Dublino ed è cultore di lingua e letteratura inglese presso l’Università per stranieri di Perugia, nonché editor per Minimum Fax e traduttore de Il cardellino di Donna Tartt, leggete l’intervista qui sotto!

Ha carta bianca e tre aggettivi per descriversi…

Superficiale, profondo, inquieto.

Mai senza?

Una buona birra. Guinness al pub, Peroni a casa!

Cosa le piace leggere?

Mi piace leggere. Punto. Al momento mi dedico di più alla lettura dei miei colleghi e dei miei maestri, gli scrittori “vittoriani” come Dickens, Stevenson, Le Fanu, Stoker, Wilde e Poe. E poi Blake. Ma anche in Italia ho Landolfi e Manganelli a cui guardo.

Se dovesse esprimere tre desideri?

Avere una grande voce rock, l’immortalità per me e i miei cari, riabbracciare mia madre.

La sua vita in un tweet?

Mai fermo un istante.

Ci parli del suo ultimo romanzo. A chi lo consiglierebbe e perché?

La forma del buio è il secondo capitolo thriller della mia trilogia su Roma e sul commissario Mancini. Un serial killer sconvolge la città lasciando le sue vittime nei parchi di Roma. Ma non vengono semplicemente abbandonate, vengono composte, disposte, messe in scena come se fossero delle sculture che rappresentano mostri mitologici dell’antca Grecia. A Villa Borghese, allo zoo, tra le fogne della capitale il serial killer ribattezzato dalla stampa lo Scultore crea le sue opere di carne ed ossa: Il Laocoonte, la Sirena, il Minotauro.

Come nascono i suoi personaggi, vi è un collegamento con la realtà?

Con la realtà non c’è quasi mai un link diretto, nel caso dei miei personaggi. Solo la storpiatura di nomi e cognomi, che pesco dalle mie conoscenze e amicizie.

Le ambientazioni che sceglie provengono dal reale o sono anche una proiezione dell’anima?

Stesso dicasi per le ambientazioni. Parto sempre da una suggestione mia (nel caso de La forma del buio i parchi di Roma) ma non dalle immagini che possano ispirarmi delle suggestioni. Piuttosto dalle parole che le definiscono. E attorno a quelle costruisco le atmosfere dei miei libri, che per me sono la base per scrivere un buon romanzo. Si dice nomina sunt consequentia rerum (i nomi vengono dopo gli oggetti) per me vale l’affermazione contraria e paradossale: res sunt consequentia nominum (gli oggetti sono la conseguenza dell’esistenza delle parole che li definiscono).

Come può riassumere ai suoi lettori il suo romanzo? Qual è il messaggio che vuole trasmettere?

Non sono un postino! 🙂 Non ho messaggi per nessuno. Il romanzo gira attorno ad alcuni argomenti (il rapporto con la realtà, soprattutto).

È già al lavoro su un nuovo libro?

Il terzo ed ultimo capitolo della trilogia degli Spettri. L’ultima indagine di Enrico Mancini! 😉

 

Silvia Casini

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